Votare per l'iniziativa popolare «Per il divieto di finanziare i produttori di materiale bellico» il prossimo 29 di novembre significa contribuire a forgiare un mondo più pacifico e contrastare una delle cause che spingono milioni di persone a fuggire dal loro paese.
Ne è convinto il comitato formatosi a sostegno dell'iniziativa del Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) e dei giovani Verdi, sostenuta da 104'612 adesioni, che oggi a Berna ha dato avvio ufficialmente alla campagna d'informazione.
L'iniziativa
La proposta di modifica costituzionale vuole vietare alla Banca nazionale svizzera, alle Casse pensione e alle fondazioni di investire nelle imprese che realizzano oltre il 5% del loro giro d'affari annuo con la fabbricazione di materiale bellico.
Per i sostenitori dell'iniziativa, l'export di armi fabbricate in Svizzera erode la neutralità e la politica estera elvetica volta a promuovere la pace. Un comportamento che nuoce alla credibilità del Paese e in contrasto con i suoi principi destinati alla soluzione pacifica dei conflitti.
No prodotti «double use»
Stando a Thomas Bruchez, segretario del GSsE, l'iniziativa include il divieto di finanziamento di armi e singoli pezzi o elementi senza alcun uso civile. I prodotti «double use» – ossia che possono essere utilizzati sia in ambito civile che militare – sono esclusi, così come i dispositivi utilizzati per lo sminamento umanitario.
La concessione di crediti, prestiti e donazioni, nonché l'acquisizione di azioni e titoli sarebbero tra i tipi di finanziamento vietati. Inoltre, l'iniziativa chiede un impegno da parte della Confederazione affinché anche le banche e le assicurazioni siano soggette a condizioni simili, ha aggiunto Bruchez.
Un fatto normale, ma poco rallegrante
«La piazza finanziaria svizzera è una delle più influenti al mondo. Qui viene gestito il 25% del patrimonio mondiale», ha sottolineato dal canto suo Lilian Studer del partito evangelico. «L'investimento in produttori di materiale bellico è un fatto normale da noi».
UBS, per esempio, ha investito almeno 532 milioni di dollari in Lockheed Martin nel 2017. I jet da combattimento prodotti dalla società americana hanno permesso all'Arabia Saudita di bombardare postazioni nemiche in Siria e nello Yemen. L'anno scorso, invece, il Credit Suisse ha investito oltre 100 milioni di franchi nella Northrop Grumann, azienda che si occupa anche della produzione di armi nucleari.
In totale, nel 2018 la Svizzera ha investito 8'984 milioni di dollari in aziende che producono armi nucleari, ha rincarato la consigliera agli Stati Céline Vara (Verdi/NE). Sono circa 1044 dollari per abitante. «Questo aspetto poco rallegrante della Svizzera è in totale contraddizione con la sua tradizione umanitaria e la sua neutralità», a parere della «senatrice».
Iniziativa applicabile
L'iniziativa, per Lilian Studer, è applicabile contrariamente a quanto sostengono gli avversari. Basta stabilire criteri di esclusione. Sono sempre più numerosi gli investitori e le casse pensioni che li hanno introdotti, senza perdere in termini di rendimento, ha spiegato.
Il volume dell'industria degli armamenti rappresenta appena l'1% del mercato mondiale, ha sottolineato da parte sua la consigliera nazionale Marti Min Li (PS/ZH). D'altro canto, gli investimenti sostenibili sono in costante aumento e nel 2019 supereranno i 1100 miliardi.
A suo avviso, «l'iniziativa può essere applicata senza problemi. Non chiede nulla di nuovo o di rivoluzionario, ma solo il proseguimento degli attuali sforzi per rendere più sostenibile la piazza finanziaria elvetica».
Governo e partiti borghesi contrari
Per il Consiglio federale e il Parlamento la proposta del GSsE va bocciata poiché limita eccessivamente la libertà di manovra della BNS, delle fondazioni e degli istituti previdenziali, danneggiando nel contempo il settore finanziario e l'industria elvetica. Nel 2009, un'altra iniziativa del GSsE che auspicava il divieto di esportare materiale bellico è stata bocciata dal 68,2% degli elettori
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