BERNA
In occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte, che si celebra oggi, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha pubblicato il nuovo piano d'azione svizzero per il periodo 2017-2019.
Esso prevede l'abolizione a livello internazionale di questa sanzione entro il 2025. Se una ventina di anni fa era ancora la regola, oggi la pena capitale è l'eccezione: solo il 20% circa degli Stati la applicano e l'eseguono ancora, indica una nota del DFAE.
Nonostante oggi in alcuni Paesi si parli di ripristinarla, con il piano d'azione la Svizzera vuole appoggiare la tendenza all'abolizione.
La strategia elvetica è di procedere passo dopo passo per ottenere un calo delle esecuzioni e dei Paesi che contemplano la pena nel loro diritto. A breve termine il DFAE mira pure a un rispetto più rigoroso degli standard minimi per l'applicazione della pena: la condanna capitale va bandita per persone minorenni nel momento in cui hanno compiuto il delitto, per handicappati mentali e per le donne incinte. Il dipartimento che sarà presto diretto da Ignazio Cassis intende raggiungere questi obiettivi tramite un lavoro di persuasione politica, iniziative internazionali e progetti locali.
Dal canto suo Amnesty International, esattamente 40 anni dopo aver sostenuto la Dichiarazione di Stoccolma - il primo manifesto abolizionista internazionale sulla pena capitale - chiede di mettere "immediatamente in atto una moratoria ufficiale sulle esecuzioni".
Quest'anno la Giornata mondiale contro la pena di morte si concentra sul legame tra la pena capitale e la povertà. Le ricerche dimostrano che le persone provenienti da un ambiente socioeconomico disagiato sono condannate a morte in modo sovraproporzionale.
Ad esempio, recenti analisi dei dati sulla pena di morte in Cina da parte di Amnesty suggeriscono che la pena capitale sia "riservata" a persone che sono povere, hanno un basso livello educativo e appartengono a minoranze religiose, etniche o razziali, si legge in una nota diramata ieri dall'organizzazione di difesa dei diritti dell'uomo.
In Arabia Saudita, tra il gennaio 1985 e il giugno 2015, il 48,5% del totale delle esecuzioni registrate da Amnesty International riguardava cittadini stranieri, la maggior parte dei quali sono lavoratori migranti con nessuna conoscenza dell'arabo - la lingua usata durante gli interrogatori avvenuti in detenzione e nella quali si era svolto l'intera procedura nei loro confronti.
In una presa di posizione pubblicata oggi sul quotidiano romando Le Temps, anche i ministri degli esteri di Germania, Austria, Liechtenstein, Lussemburgo, Slovenia e Svizzera denunciano gli effetti deleteri della miseria. "La pena di morte colpisce più spesso le persone povere perché non hanno i mezzi di difendersi efficacemente contro le accuse". Come Amnesty, i sei puntano su una moratoria internazionale.
A seconda delle fonti, le cifre relative alla diffusione della pena di morte nel mondo variano. Il DFAE nel suo comunicato indica che "38 Stati su 199 applicano ed eseguono ancora la pena capitale". Il ministro degli esteri elvetico Didier Burkhalter e i suoi cinque colleghi su Le Temps scrivono che "sui 193 stati membri dell'Onu, 36 la applicano ancora effettivamente". Per Amnesty "105 Paesi oggi hanno totalmente abolito la pena di morte nella legge e nella pratica. Altri 36 Paesi hanno abrogato la pena capitale per crimini ordinari quali l'omicidio o smesso di usare questa sanzione anche se rimane iscritta nella legge."
L'organizzazione indica poi che nel 2016 il boia è stato sollecitato "solo in 23 Paesi, con un piccolo gruppo di Stati - Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan - autori del maggior numero di esecuzioni."
Tornare alla home pageATS