IntervistaDaniel Koch: «Il numero di casi è certamente troppo elevato»
Di Jennifer Furer
30.7.2020
Daniel Koch ha lavorato fino a maggio come delegato al COVID-19 dell'Ufficio federale della sanità pubblica. Segue sempre la situazione coronavirus con attenzione e cautela. Durante la sua intervista, parla dell’obbligo dell’uso della mascherina, dell’eventualità di una seconda ondata e di Alain Berset.
Signor Koch, partirà per le vacanze estive?
No, non ho tempo e non ho programmato nulla.
Ma di solito fa delle escursioni in Svizzera.
Vivo vicino alle montagne e mi godo il tempo libero con i miei cani. E poi, dato che ricevo degli inviti, ciò mi porta a volte un po’ più lontano tra le montagne.
Contrariamente a lei, gli svizzeri attualmente stanno viaggiando in tutto il paese. Alcuni partono anche all’estero. Per questo si teme una recrudescenza dei casi alla fine delle vacanze estive.
Ci troviamo in una situazione difficile. Più la gente si sposta, più il rischio di contaminazione tra individui aumenta. Le cifre non sono ancora sufficientemente alte perché si possa parlare di una seconda ondata. Ma sono certamente troppo elevate.
Ci stiamo dirigendo verso una seconda ondata?
Il rischio di una recrudescenza massiccia del numero di casi durante l’autunno o l’inverno è molto alto. Anche se dovesse restare al livello attuale, corriamo il rischio di non rilevare numerose persone infette, in grado di diffondere il virus senza ostacoli.
Perché?
Perché tutte le persone che presentano dei sintomi dovrebbero essere testate. Ma non ci riusciamo neppure ora. In autunno e in inverno, la situazione potrebbe aggravarsi, nella misura in cui i sintomi del coronavirus non sono forse percepiti come tali. Inoltre, ci sono attualmente molti elementi che corroborano l’idea che il virus si trasmetta più facilmente in un periodo umido e freddo e pochi elementi che smentiscano questa teoria.
Cosa bisogna fare ora?
È possibile evitare una seconda ondata in autunno e in inverno, come dimostra la Nuova Zelanda, dove sono stati registrati soltanto alcuni casi nonostante laggiù sia inverno. Come la Nuova Zelanda, dobbiamo ora far abbassare il numero dei casi e controllare le catene di contagio. Ciò richiede molto tempo e costa molto denaro.
Perché?
Perché dobbiamo fare molti più test.
Come mai non ci si riesce ancora?
Per il momento, gli ostacoli per fare un test sono troppo importanti: bisogna prenotarsi dal medico o in ospedale, poi recarsi sul posto. È relativamente dispendioso. Se una persona presenta solo sintomi leggeri, esiste un rischio che non si faccia testare – o che lo faccia troppo tardi, quando i sintomi si sono aggravati. Ciò fa perdere molto tempo. Dunque è molto difficile, e in alcuni casi praticamente impossibile, rintracciare i contatti e mettere gli individui interessati in quarantena. I test devono essere facilitati. Questo deve diventare altrettanto semplice che andare a comprare un croissant per la colazione.
Cosa bisognerebbe cambiare, concretamente?
Esistono diverse soluzioni per risolvere il problema. Immagino dei centri di screening mobili o delle unità mobili, per esempio. Si potrebbe anche fare il prelievo per il test a domicilio del paziente.
Come funzionerebbe?
I prelievi nasali devono essere effettuati da professionisti. Tuttavia, è anche possibile fare il test attraverso un prelievo dal cavo orale. Anche se questo metodo è un po’ meno buono, è comunque sempre meglio che non fare affatto il test.
I prelievi nasali sono abbastanza sgradevoli. Cosa ne pensa del prelievo dal cavo orale?
Bisogna spingere il bastoncino molto in profondità in gola, al punto da provocare un conato di vomito.
Alcuni studi dimostrano che le persone che non presentano sintomi sono a volte dei pericolosi superpropagatori. In questo caso, non bisognerebbe testare tutti – che abbiano sintomi o meno?
Il fatto è che il virus può essere eliminato nei due giorni precedenti alla comparsa della malattia. È possibile seguire la catena di contagio durante questi due giorni. È dunque inutile ora fare test a tutto spiano. Ma è cruciale che gli individui che presentano sintomi leggeri siano testati rapidamente.
Perché?
Se attendono una settimana e si fanno testare solo quando sono veramente malati, possono aver già infettato decine di persone. A quel punto, non è più possibile rintracciare questa catena di contagi.
Molti rinunciano forse ad andare dal medico, perché pensano che il loro caso sia insignificante.
Pensare questo è semplicemente falso. Non è questione di pazienti caso per caso. Poco importa che i sintomi siano leggeri o gravi. Si tratta solo di individuare il virus in tempo.
La Confederazione ha sufficientemente sensibilizzato le persone su questo argomento? O ci vorrebbe una campagna nazionale per chiamarli a farsi testare anche in caso di sintomi leggeri?
Non sta a me giudicare, ma alle autorità. Tuttavia sarebbe il caso di andare in questa direzione.
Al momento, siamo informati sufficientemente?
Posso solo constatare che attualmente i test sono tardivi e troppo pochi. Sarebbe inappropriato che io giudichi il lavoro della Confederazione. Non sta a me farlo.
Lei è molto diplomatico.
Non parlerei di diplomazia. Gli esperti della Confederazione sono assolutamente capaci di valutare la situazione.
Cosa consiglierebbe ora al ministro della Sanità Alain Berset?
La gente deve essere motivata e informata. Ciò non funziona se la popolazione si accontenta solo di ricevere degli ordini. Bisogna riuscire a convincerli ad agire correttamente, ovvero a rispettare le regole di distanziamento e di igiene. E soprattutto, le norme da seguire nei confronti del coronavirus devono essere le più semplici possibile.
Sarebbe facile rendere la mascherina obbligatoria ovunque.
È giudizioso indossare una mascherina nei casi in cui non possa essere rispettata una distanza di 1,5 metri.
Dunque lei non sta evocando un obbligo generalizzato di indossare la mascherina?
È fatale credere che le mascherine risolvano il problema. È importante che la gente sappia quali sono le possibilità e i limiti. In effetti, le mascherine non impediscono a colpo sicuro di essere contagiati o di contagiare gli altri.
Tuttavia, il gruppo di lavoro COVID-19 della Confederazione raccomanda di estendere l’obbligo di uso della mascherina.
Le mascherine possono aiutare, possono far abbassare il tasso di contagio. Ma ciò non è sufficiente per contrastare il coronavirus.
Dunque cosa bisogna fare?
È molto più importante informare la gente sui canali di contagio concreti. E far comprendere che le mascherine da sole non impediscono la contaminazione. Soltanto una rigorosa igiene delle mani e il rispetto delle regole di distanziamento sociale vi possono contribuire. Non mi capacito quando vedo qualcuno che indossa una mascherina, ma che passa davanti al distributore di disinfettante senza fermarsi.
I paesi in cui l’obbligo di uso di mascherine è esteso registrano meno casi. Non si tratta dunque di un segnale che hanno la situazione sotto controllo?
Numerosi paesi cominciano a introdurre degli obblighi. Dicono che se tutti indossano la mascherina, la gente può uscire senza problemi. Possiamo già osservare che quest’approccio non funziona. Nei paesi in cui è applicato, il numero dei casi aumenta comunque.
Tuttavia, contribuiscono ad appiattire la curva e ad impedire eventualmente un aumento esponenziale del numero di casi. Inoltre, le mascherine possono benissimo impedire le trasmissioni.
Ma al momento la questione è di prevenire le catene di contagio. È il solo modo di evitare di essere coinvolti in una seconda ondata.
Ciò si spiega anche per via del fatto che noi, comuni cittadini, semplicemente non sappiamo utilizzare le mascherine?
Le mascherine provengono dal settore ospedaliero, più precisamente chirurgico. Qui, vengono utilizzate in maniera molto diversa rispetto all’uso che ne facciamo noi oggi. In una sala operatoria, non si può toccare nulla. Sarebbe impensabile per noi fare lo stesso sui trasporti pubblici. Di conseguenza, è logico che abbiamo della saliva e delle secrezioni nasali sulle nostre mani. Se le mani non sono disinfettate, propaghiamo rapidamente il virus attraverso la mascherina a livello della bocca e della gola. È dunque illusorio credere che, indossando la mascherina, tutto sia sotto controllo.
Lei dice che i test effettuati a monte permettono di rintracciare i contatti. Cosa ne pensa dell’applicazione SwissCovid?
Non è una panacea. Come l’uso della mascherina, essa può aiutare, ma non combatte il problema. Similmente, l’applicazione funziona soltanto se i test vengono effettuati a monte.
Durante il suo mandato di delegato al COVID-19 della Confederazione, lei ha ricevuto il plauso di numerosi fan, ma anche le critiche di numerosi detrattori. In particolare in seguito alle sue dichiarazioni contro l’uso obbligatorio della mascherina.
È assolutamente normale e lo accetto. Tutti sono stati toccati dalla crisi. Alcuni ne sono stati colpiti personalmente.
Alcuni la accusano di farsi pubblicità sfruttando l’emergenza.
Le critiche sono principalmente arrivate in seguito alla mia iscrizione al registro del commercio. L’ho fatta perché ho una mia azienda – ed è obbligatorio iscriversi al registro del commercio per poter emettere fatture.
Si è fatto notare anche sui social network.
L’ho fatto solo quando volevo far passare un messaggio.
E sta scrivendo un libro.
Questo progetto era già previsto prima della campagna mediatica su di me. Ad ogni modo, non sarà una biografia, ma tratterà alcuni temi riguardanti la mia vita professionale. Gli interessati potranno acquistarlo, gli altri invece non saranno obbligati.
Di recente, è stato pubblicato un libro su Alain Berset. È stato scritto da Jessica Jurassica. Si tratta di un romanzo erotico intitolato «Il frutto più difeso del Palazzo federale». L’ha letto?
No, purtroppo mi è sfuggito.
A proposito, ha ancora contatti con Alain Berset?
L’ho visto dopo il mio pensionamento. Ma per il momento non lavoriamo insieme. Comunque, lui sa che se ha bisogno di qualunque cosa può contattarmi.