EnergiaL'abbandono del nucleare a rischio, secondo Matin Dimanche
mc, ats
11.7.2021 - 11:43
L'abbandono del nucleare in Svizzera è a rischio, secondo Le Matin Dimanche. Dieci anni dopo l'annuncio da parte del Consiglio federale, è cambiato molto poco: la parte di energia prodotta dal nucleari è rimasta stabile e lo sviluppo delle energie rinnovabili è lento.
Keystone-SDA, mc, ats
11.07.2021, 11:43
11.07.2021, 11:47
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Attualmente quasi il 60% della produzione di elettricità proviene da impianti idroelettrici, ma il 33% è ancora fornito dal nucleare. La proporzione dell'atomo è rimasta praticamente invariata dal 2011. La percentuale di elettricità generata da fonti rinnovabili è aumentata, ma rappresenta ancora solo il 6,7% del totale, rispetto all'1% del 2011.
La strategia energetica 2050 della Confederazione prevede la promozione dell'energia pulita. Entro il 2035, 37'400 GWh dovranno essere generati dall'energia idroelettrica – che già funziona a pieno regime – mentre 17'000 GWh dovranno provenire da altre energie rinnovabili. Queste ultime però hanno prodotto circa 4000 GWh nel 2019.
Secondo i calcoli di Le Matin Dimanche l'equivalente di più di 19'000 campi di calcio dovrebbe essere coperto con pannelli solari entro il 2035 per compensare l'abbandono dell'energia nucleare, ma oggi la superficie è solo di circa 1800 campi. Ci vorrebbero inoltre quasi 6000 turbine eoliche e siamo solo a quota 42.
Per far fronte al previsto deficit di elettricità, l'Ufficio federale dell'energia prevede di prolungare la vita delle centrali nucleari da 50 a 60 anni, in contraddizione con le promesse fatte dieci anni fa. L'invecchiamento degli impianti pone però un problema di sicurezza dell'approvvigionamento. «Il funzionamento a lungo termine è tecnicamente sicuro grazie alla manutenzione continua, a nuovi equipaggiamenti e alla modernizzazione», sostiene Swissnuclear, l'associazione dei gestori di centrali nucleari. Per Philippe de Rougemont, presidente dell'associazione Uscire dal nucleare, invece «l'opzione dei 60 anni crea pigrizia» e «rallenta lo sviluppo dell'efficienza energetica, i cambiamenti nelle abitudini di consumo e la produzione di energie rinnovabili».