Lo psicologo Donna assalita, lo psicologo: «Molti eritrei subiscono violenze che li plasmano»

Di Alex Rudolf

22.2.2023

La stazione centrale di Zurigo (Zürich HB/foto d'archivio).
La stazione centrale di Zurigo (Zürich HB/foto d'archivio).
KEYSTONE

Un eritreo affetto da un disturbo psichico ha aggredito una decina di giorni fa una donna a Zurigo. Questo tipo di attacchi sono aumentati negli ultimi anni. Uno dei motivi? I disturbi mentali passano spesso inosservati.

Di Alex Rudolf

22.2.2023

Domenica 11 febbraio, un uomo di 26 anni proveniente dall'Eritrea ha colpito una donna di 55 anni alla stazione centrale (Hauptbahnhof) di Zurigo , continuando a picchiarla anche quando era a terra sanguinante. Ha poi aggredito una sedicenne che si è precipitata ad aiutare la donna prima che la polizia potesse prendere in custodia l'uomo affetto da disturbi psichici.

Dal 2019 sono stati dieci i casi di giovani che soffrono di disturbi psichici provenienti da zone di guerra in Germania e Svizzera che hanno aggredito dei passanti senza un motivo apparente, come scrive lo «20 Minuten». In sei di questi casi, l'attacco si è concluso in modo fatale. Sembra anche che l'Eritrea fosse spesso il Paese degli aggressori, come pure richiedenti l'asilo.

C'è una connessione tra questi casi e se sì, come si possono prevenire? blue News lo ha chiesto allo psicologo di guerra Thomas Elbert.

Signor Elbert, stanno davvero aumentando i casi come quello alla stazione di Zurigo?

Se sia effettivamente così, non lo sappiamo. Ogni volta che rilascio un'intervista su questo argomento, mi scrivono sempre persone che hanno subito anche aggressioni da parte di persone provenienti da aree di conflitto. Sento storie di gente che, ad esempio, ha accolto un rifugiato che improvvisamente la attacca con un coltello.

Perché sta succedendo?

In Eritrea, ad esempio, i giovani uomini sono spesso reclutati con la forza e possono aver già subito violenze in famiglia. In viaggio verso l'Europa, attraverso il Mar Mediterraneo o la rotta balcanica, hanno numerose esperienze di violenza che li plasmano. Qui in Svizzera sperano di mettere le radici. Tuttavia questo non si realizza, o solo in misura limitata.

«Il richiedente l'asilo non va dal dottore a dire che soffre di un disturbo da stress, ma dice che ha mal di testa – allora gli viene dato un antidolorifico»

L'esperto
www.psychologie.uni-konstanz.de

Thomas Elbert è professore emerito di psicologia clinica e neuroscienze comportamentali all'Università di Costanza e si è specializzato nella ricerca sui traumi. Ha condotto studi sul campo in Afghanistan, Congo, Ruanda, Somalia, Sri Lanka e Uganda.

Che cosa intendete?

Non diventeranno mai svizzeri. Possono essere fortunati e trovare un lavoro e sbarcare il lunario, ma le numerose esperienze che mettono in pericolo la vita gli impediscono di darsi pace. Continuano a sentirsi minacciati, e spesso lo fanno loro stessi. In questo modo, non raggiungono lo status sociale che speravano.

Come si arriva all'escalation?

Da un trigger (un innesco psicologico che porta una persona a rivivere un trauma, ndt) o degli stimoli chiave che attivano il sistema di allarme umano. Si può così diventare rapidamente aggressivi e attaccare.

I disturbi da stress post-traumatico sono spesso scoperti nei migranti?

Dovrebbero perché lo screening psicologico è richiesto dalla legge nell'UE. Se si dovesse esaminare tutti i migranti provenienti da zone di guerra, si scoprirebbe che circa il 20-30% soffre di stress post-traumatico. Ma dato che non ci sono risorse per l'assistenza ai pazienti, questo spesso non viene fatto, nemmeno in Svizzera, dove l'assistenza medica è di livello mondiale.

Quali sono le risorse a disposizione?

Se una persona, ad esempio, ha tendenze suicide a causa delle sue esperienze, è necessaria un'assistenza immediata. Questa non è però fornita. Anche la lingua è un problema qui, perché il richiedente l'asilo non va dal dottore a dire che soffre di un disturbo da stress, ma dice che ha mal di testa – allora gli viene dato un antidolorifico.

Quale sarebbe la soluzione?

Nuovi metodi di supporto, per esempio. Le persone di ogni comunità dovrebbero essere educate a riconoscere il trauma e la schizofrenia – per questo non sono richiesti lunghi anni di studio. Questi padrini della salute dovrebbero fare lo screening psicologico, perché conoscono anche le condizioni di vita dei rifugiati. Stiamo facendo un progetto pilota in Congo, dove bastano tre mesi di formazione di base.