GiustiziaBE: «uzi-killer» condannato a Bienne, omicidio e tentato omicidio
zc, ats
6.6.2023 - 15:54
Un 65enne della Macedonia del Nord è stato oggi condannato dal tribunale distrettuale di Bienne (BE) a 18 anni e 3 mesi di prigione.
zc, ats
06.06.2023, 15:54
06.06.2023, 16:04
SDA
Il tribunale di prima istanza lo ha ritenuto colpevole di omicidio e tentato omicidio in relazione a fatti avvenuti nel 1999 nel quartiere Mett di Bienne.
Per anni è stato un caso irrisolto quello di una brutale rapina a mano armata perpetrata ai danni di una famiglia nel giugno del 1999. Tre malfattori erano entrati in un'abitazione e avevano legato i genitori e il figlio più giovane – allora 14enne – con del nastro adesivo.
Al loro rientro dopo un'uscita, gli altri due figli – ai tempi di 22 e 23 anni – avevano bussato alla porta di casa, insolitamente chiusa, e la situazione era degenerata repentinamente: uno dei criminali aveva infatti reagito sparando al 22enne con una pistola mitragliatrice Uzi, come riferito dai media in passato, provocandone il decesso. Il fratello di 23 anni era invece riuscito a fuggire.
Al contrario dei suoi complici, tuttora ignoti, il nord-macedone era finito nei radar degli investigatori solamente nel 2015, per una coincidenza: il gerente di un chiosco a Berna aveva infatti denunciato un'effrazione nel suo esercizio e la polizia, una volta rilevate le tracce del DNA del presunto autore del gesto, ha constatato una corrispondenza con quelle registrate in occasione degli episodi di Bienne.
Il 65enne aveva sempre negato di essere coinvolto nel tragico episodio del 1999 e il suo avvocato difensore ne aveva chiesto l'assoluzione, sostenendo che l'analisi del DNA fosse incerta. Dal canto suo, la procura, invece riteneva inconfutabile il coinvolgimento dell'uomo nell'aggressione e aveva chiesto una pena detentiva di 18 anni.
I retroscena della vicenda sono ancora poco chiari: in una sentenza emessa dal Tribunale federale nel 2022, che si appellava alle inchiesta svolte fino a quel momento, si ipotizzava il possibile coinvolgimento di due dei figli della famiglia-vittima in un traffico di armi con alcuni allora attivisti dell'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK).
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