Crisi bancaria Credit Suisse, l'esperto: «Berna ha agito come una repubblica delle banane»

hm, ats

23.3.2023 - 16:08

Marcel Niggli figura fra i giuristi più importanti in Svizzera.
Marcel Niggli figura fra i giuristi più importanti in Svizzera.
Keystone

L'operazione di acquisizione di Credit Suisse (CS) da parte di UBS non ha precedenti, è un attentato allo stato di diritto e la Svizzera ha agito da repubblica delle banane.

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È il giudizio di Marcel Niggli, uno dei più noti professori di diritto penale in Svizzera. Chi vuole decisioni rapide deve optare per una dittatura, aggiunge.

«Non è un deal, un accordo, è il termine sbagliato dell'anno», afferma il titolare della cattedra di diritto penale e filosofia del diritto all'Università di Friburgo in un'intervista pubblicata giovedì dalla Weltwoche.

«Se sia una soluzione buona o cattiva dal punto di vista economico, spetta ad altri giudicarlo. Nell'ottica giuridica è spaventoso che, dopo la pandemia e le sanzioni alla Russia, venga nuovamente invocato il diritto d'emergenza» (Notrecht: diritto di necessità nella traduzione legale in uso in Svizzera).

«Il diritto di necessità dovrebbe essere qualcosa di simile allo stato di guerra, l'eccezione assoluta. Se ogni volta le regole vengono sospese, allora queste regole non si applicano davvero», osserva lo specialista.

«Posso capire che il Consiglio federale abbia dovuto agire, ma il modo di procedere solleva interrogativi. I problemi di CS erano noti da tempo e si poteva pensare a scenari di crisi. Non sembra che ciò sia avvenuto. Invece, questa soluzione di emergenza è stata scelta nel giro di pochi giorni».

Il Governo sapeva da tempo della situazione?

Problematico è il fatto che domenica la consigliera federale Karin Keller-Sutter abbia detto che il governo sapeva da tempo quanto fosse drammatica la situazione. «Se non si percepisce l'emergenza come tale, ma si sa in anticipo che accadrà, allora non è più una vera emergenza. Neghi lo stato di emergenza che tu stesso hai dichiarato. Questo è di per sé contraddittorio».

Niggli afferma di dubitare fortemente che l'esecutivo federale si muova ancora nell'ambito costituzionale. «Siamo una comunità lenta perché discutiamo di tutto tra di noi. Questo è essenziale per la democrazia svizzera, anche se è rappresentativa. Il parlamento nazionale ha due camere. Ci sono gruppi di interesse che possono presentare le loro opinioni nelle consultazioni. Noi rallentiamo tutto. Chi vuole una decisione rapida deve onestamente invocare una dittatura.»

Un accordo «illegale»

Il giurista nato a Zugo e con dottorato all'università di Zurigo concorda con chi giudica l'accordo relativo a Credit Suisse «illegale», qualificandolo di «attentato allo stato di diritto». «Sì, sono d'accordo. Naturalmente si può decidere di non essere interessati al diritto. Che bisogna fare le cose in modo spedito. Il fatto è che è così che si sacrifica il diritto: questo è ciò che si fa».

Al giornalista del settimanale che gli chiede se la Svizzera sia in tal modo diventato uno stato-canaglia, Niggli risponde caustico: «Direi che sta degenerando in una repubblica delle banane. Si fa tutto ciò che viene ritenuto necessario sul momento: a seconda di ciò che dicono i potenti, qualcosa diventa possibile oppure no».

L'esperto non si aspetta però un'ondata di cause collettive nella Confederazione da parte di azionisti o di detentori di obbligazioni arrabbiati. «Purtroppo abbiamo già perso molta reputazione. So di un caso in cui un investitore ha chiesto ai suoi avvocati di Londra se volevano fare causa in Svizzera, dove la controversia è nata. I legali hanno respinto l'idea: la Svizzera non è uno stato di diritto».

Sovra-rappresentazione del diritto statunitense

Secondo Niggli la situazione ha anche a che fare con la sovra-rappresentazione del diritto statunitense. «Questo è certamente un fattore. Si continua a dire che viviamo in una società globale. È sbagliato: viviamo in una società mediatica mondiale. Se succede qualcosa negli Stati Uniti, la notizia arriva a noi in pochi secondi. Il dominio dei media è americano».

Questo modella la nostra visione del mondo. «Se si chiede a qualcuno che non ha nulla a che fare con i tribunali di nominare un simbolo del diritto spesso viene nominato il martelletto: ma nessuno al mondo usa il martelletto tranne i giudici americani».

Secondo il professore non esiste nella storia giuridica elvetica un caso simile a quello che si è visto questa fine settimana, «non con questa fretta».

«L'articolo sullo stato di necessità è giuridicamente molto problematico»

Gli equilibri stanno mutando: «Da quando sono in vita, non ha mai avuto importanza chi siede in Consiglio federale: la situazione sta lentamente cambiando». Un tempo non era necessario conoscere i membri del governo, perché la struttura stessa era stabile. «Mi sembra che questo sia andato perduto».

«È necessaria una specificazione democraticamente legittimata della costituzione», prosegue Niggli. «Potrebbe anche essere una legge, un'interpretazione specifica e autentica dello stato di necessità, benedetta dalla maggioranza del parlamento».

«In questo modo sarebbe più difficile per l'esecutivo dire la volta successiva: 'a proposito, noi lo intendiamo in questo e in quell'altro modo'. L'attuale articolo sullo stato di necessità è giuridicamente molto problematico. Oggi il Consiglio federale può decidere più o meno da solo quali sono i suoi poteri in casi eccezionali. Un tale sistema è soggetto ad abusi».

Ci sarebbe meno rispetto del diritto

C'è inoltre un problema di fondo. «Il rispetto del diritto è diminuito. A dire il vero, non solo nell'esecutivo, ma anche nel sistema giudiziario. Molti giudici non prendono più sul serio la legge. Vedo chiari segni di disintegrazione dello stato di diritto in Svizzera. Il caso di Credit Suisse è solo un esempio particolarmente eclatante».

Gli attentati allo stato di diritto avvengono quando c'è un pericolo. «Prima era la droga, poi il riciclaggio di denaro, poi il terrorismo. Il conflitto che stiamo vivendo con la guerra in Ucraina non si risolverà se lo affrontiamo in modo morale. La morale dominante mi sembra il vero problema. Dico sempre: la morale è meravigliosa, nulla contro la morale, ma la morale non ha spigoli vivi, a differenza del diritto».

«Quando la gente dice: 'Beh, è solo un problema temporaneo per alcuni', allora ribatto: 'sì, oggi concerne alcune singole persone, domani potrebbe però riguardare te'».

«Sarebbe meglio ricordarsi Dürrenmatt»

Come spiega il fatto – chiede il cronista – che si ricorra sempre più spesso alle normative d'emergenza?

«C'è un'incredibile necessità di agire con la stessa rapidità dei paesi stranieri», risponde l'esperto. «Il coronavirus è stato un buon esempio. Nel dibattito politico si diceva che i francesi o i tedeschi avrebbero fatto qualcosa, quindi anche noi avremmo dovuto fare qualcosa. In passato questo non era un argomento, oggi lo è. Quante volte sentiamo dire: in Svizzera tutto procede troppo lentamente?»

«Faremmo bene a ricordare il consiglio di Friedrich Dürrenmatt: 'Se facciamo un errore, il mondo non finirà'. Questo è il punto. Non siamo così importanti. La Svizzera è piccola, siamo lenti. Certo, questo è un peccato se si pensa al grande palcoscenico mondiale. Ma, diciamocelo, la Svizzera come dimensioni equivale più o meno a Londra. Siamo una grande città».

«Dobbiamo smettere di vergognarci di essere un paese piccolo e lento», argomenta l'accademico. «Perché questa lentezza produce stabilità, e la stabilità è qualcosa che bisogna cercare a lungo in questo mondo. Siamo un paese piccolo, noioso, lento. Questa è la cosa più bella che si possa dire. Da Oscar Wilde viene la frase: «Sii te stesso, tutti gli altri sono già presi». Non possiamo essere la Germania, gli Stati Uniti o la Francia. Siamo semplicemente piccolini», conclude.