Dopo il fallimento all'ONUL'appello di Greenpeace al Consiglio federale di agire
pl, ats
27.8.2022 - 16:13
Le organizzazioni ambientaliste reagiscono con indignazione al fallimento dei negoziati per un trattato dell'Onu sulla protezione dell'alto mare. Greenpeace Svizzera chiede al Consiglio federale di cercare nuove strade con «altri Stati ambiziosi per proteggere gli oceani dalla pesca eccessiva, dall'estrazione mineraria in alto mare e da altre violazioni».
Keystone-SDA, pl, ats
27.08.2022, 16:13
SDA
È triste che la comunità internazionale non sia riuscita a raggiungere un accordo, scrive oggi, sabato, Greenpeace in un comunicato. «I nostri oceani hanno urgentemente bisogno di aree protette, in modo da poter garantire i mezzi di sussistenza per noi stessi e per le generazioni future».
Secondo un'altra organizzazione ambientalista, il WWF, il ritardo del trattato Onu sta portando a un «ulteriore deterioramento della salute degli oceani». Sono stati compiuti progressi in molte aree. Ma per raggiungere un accordo, i capi di Stato e di governo dei Paesi coinvolti dovranno lavorare di più».
Infatti dopo due settimane di trattative, gli Stati membri dell'Onu non sono riusciti a finalizzare il trattato per la protezione dell'alto mare, con diverse importanti controversie che restano ancora aperte e bloccano un accordo cruciale per la salvaguardia degli oceani, un tesoro fragile e vitale per l'umanità.
Dopo oltre 15 anni di discussioni informali e poi formali per produrre un testo vincolante volto a salvaguardare questa vasta area che copre quasi la metà del pianeta, questa quinta sessione avrebbe dovuto essere l'ultima, come già la quarta a marzo. Ma, nonostante le discussioni che si sono protratte fino a venerdì sera, non è bastato.
«Non siamo mai stati più vicini al traguardo»
«Non siamo mai stati più vicini al traguardo in questo processo», ha affermato la presidente della conferenza Rena Lee. Ma «anche se abbiamo fatto ottimi progressi, abbiamo ancora bisogno di un po' di tempo per arrivare al traguardo», ha aggiunto, ottenendo l'approvazione della plenaria a sospendere i lavori fino a nuova data da destinarsi.
Tra gli argomenti più controversi di queste trattative c'è la distribuzione dei possibili profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche dell'alto mare, dove le industrie farmaceutiche, chimiche e cosmetiche sperano di scoprire molecole miracolose.
Rispondendo alle richieste dei paesi in via di sviluppo che temono di perdere potenziali benefici perché non possono condurre questa ricerca costosa, l'ultima bozza di testo ha lasciato sul tavolo la ridistribuzione iniziale del 2% – e fino all'8% – delle vendite future di prodotti da queste risorse che non appartengono a nessuno.
Greenpeace aveva accusato giovedì l'Ue, gli Stati Uniti e il Canada di aver trascinato i negoziati verso il fallimento a causa della loro «avidità» di mantenere queste risorse per loro.
Un trattato sulle zone sotto la giurisdizione di nessun Paese
Questo trattato riguarda specificamente l'alto mare che inizia dove terminano le zone economiche esclusive (Zee) degli Stati, a un massimo di 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa, e che quindi non è sotto la giurisdizione di alcun paese.
Mentre la buona salute degli ecosistemi marini è fondamentale per il futuro dell'umanità, in particolare per limitare il riscaldamento globale, solo l'1% di questo spazio, che rappresenta il 60% degli oceani, è protetto.
Uno dei pilastri del trattato sulla «conservazione e uso sostenibile della biodiversità marina nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale» è quello di consentire la creazione di aree marine protette. «Un passo cruciale negli sforzi per proteggere almeno il 30% del pianeta entro il 2030», ha affermato Maxine Burkett, funzionaria per gli oceani presso il dipartimento di Stato americano.
Alcuni esperti temono che se il trattato sull'alto mare non sarà concluso entro la fine dell'anno, questo obiettivo sarà fuori portata. Le delegazioni sono tuttora contrarie al processo di creazione di queste aree protette, nonché sulle modalità di applicazione dell'obbligo di studi di impatto ambientale prima di una nuova attività in alto mare.