ArcheologiaPerché tante statue egiziane non hanno il naso?
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8.4.2019
È forse un caso se numerose sculture egiziane non hanno più il naso? Un egittologo americano pensa proprio di no, e presenta una teoria appassionante. Spoiler: Obelix non c’entra nulla.
Chiunque abbia visto o letto «Asterix e Cleopatra» sa bene come la grande Sfinge di Giza abbia perso il suo naso: scalando il colosso monumentale, infatti, Obelix l’ha fatto cadere accidentalmente. Tutti i commercianti di souvenir hanno allora deciso di tagliare il naso delle loro sfingi in miniatura. Ma come si può spiegare il fatto che numerose altre statue dell’Antico Egitto abbiano perso il naso?
Danni che lasciano supporre l’esistenza di un modello
A Edward Bleiberg, conservatore dell’esposizione egiziana del Brooklyn Museum, la domanda è stata posta di continuo dai numerosi visitatori – e così lo studioso si è lanciato alla ricerca di indizi. L’egittologo considerava fino a quel momento naturale che questi pezzi di pietra di diverse migliaia di anni fossero stati danneggiati dal tempo. Nel corso delle sue ricerche, ha tuttavia constatato che i segni di usura della pietra lasciavano supporre che ci fosse un modello di partenza da cui fossero state create tutte le statue. Ciò l’ha portato a dubitare che questo deterioramento fosse dovuto al caso.
Infatti non sono solo le statue, decisamente più fragili di altri manufatti, a non avere il naso. Anche nei rilievi, numerose figure presentavano questa «ferita». La tesi di Edward Bleiberg è dunque la seguente: i nasi sono stati volutamente rovinati. Perché? E’ quello che gli esperti cercano di scoprire.
Morti per soffocamento
In effetti, nell’Antichità, gli Egiziani attribuivano ugualmente un grande potere alle immagini, ha dichiarato Edward Bleiberg alla catena televisiva CNN. Secondo la credenza degli antichi egizi, la statua di un dio poteva essere abitata dallo stesso dio rappresentato, così come l’immagine di un defunto poteva ospitare una parte della sua anima. Questo vandalismo mirato intendeva secondo lui «rompere il potere dell’immagine». «La parte del corpo rovinata non poteva più assolvere alla sua funzione», sostiene l’archeologo. Così, lo spirito che abitava l’immagine non era più capace di respirare senza naso – e di conseguenza soffocava.
Tuttavia, coloro che si attaccavano al potere delle immagini non erano solo motivati dalla paura che una divinità o che un defunto potesse vendicarsi, ipotizza Edward Bleiberg. L’iconoclastia era ugualmente e prima di tutto motivata da ragioni politiche. In questa maniera, alcuni sovrani ambiziosi hanno probabilmente tentato di nuocere alla reputazione dei loro predecessori e di riscrivere la storia a loro favore, osserva lo scienziato.
Vandali ben istruiti
Questa potrebbe anche essere la ragione per cui per esempio si sono conservate alcune rappresentazioni della regina Hatchepsut. Il figliastro Thutmosi III le ha probabilmente fatte demolire per indebolire le pretese al trono dei figli di Hatchepsut e rafforzare la posizione del figlio, Amenhotep II: «Il regno di Hatchepsut comprometteva la legittimità del successore di Thutmosi, è questa la ragione per cui Thutmosi ha risolto questo problema cancellando il ricordo di Hatchepsut.»
Tuttavia, Edward Bleiberg non vuole considerare i distruttori come dei vandali: «Non danneggiavano le opere d’arte in maniera sconsiderata e arbitraria. In realtà, il loro lavoro preciso lascia intendere che erano ben istruiti.» E non soltanto all’uso del bulino: «Spesso, al tempo dei faraoni, soltanto il nome della persona mirata veniva estromessa dalle iscrizioni. La persona incaricata di questo atto di distruzione doveva ugualmente saper leggere», prosegue Bleiberg. Obelix, che non aveva la minima conoscenza dei geroglifici, dovrebbe così essere eliminato dalla lista dei sospetti…
Il mammut lanoso «Yuka» è stato scoperto nel 2012 nel permafrost in Siberia.
Immagine: Keystone
La scoperta ha fatto scalpore, per via dell’ottimo stato di conservazione del giovane animale.
Immagine: Keystone
L’equipe di ricercatori che ormai è riuscita a riattivare le cellule di «Yuka» ha impiegato per questo la tecnica del trasferimento nucleare e impiantato una parte del DNA del mammut negli ovociti dei topi.
Immagine: Keystone
Bisognerà tuttavia aspettare un certo tempo prima di vedere dei mammut clonati muoversi sul pianeta: la tecnica però è ancora lontana dall’essere sufficientemente sviluppata.
Immagine: Keystone
Un giorno, tuttavia, i ricercatori sperano di clonare almeno un ibrido di mammut e di elefante.
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