Storica esplosione1815: un’eruzione in Asia causa una situazione critica in Svizzera
Philipp Dahm
5.5.2020
Una catastrofe naturale di proporzioni enormi si è registrata 205 anni fa: una montagna è letteralmente esplosa. L’eruzione del vulcano Tambora ha ucciso decine di migliaia di persone in Indonesia e disseminato morte e distruzione ovunque, anche a 15’000 chilometri lontano da lì, in Svizzera, fino all’anno seguente.
L’indice di esplosività vulcanica (scala VEI) è per le eruzioni vulcaniche ciò che la scala Richter è per i sismi. Entrambe sono basate su un grado aperto: il livello più elevato osservato fino ad oggi si situa a 8 ed è stato raggiunto per l’ultima volta 26’500 anni fa in Nuova Zelanda o 74’000 anni fa sull’isola indonesiana di Sumatra.
Quando l’ultima eruzione di grado 7 ha scosso la Terra, la scienza era già in grado di registrare l’evento, anche se ci sono voluti cent’anni per comprendere che si trattava di un evento unico avvenuto nel corso del secolo e dalle conseguenze mondiali. Il 10 e 11 aprile 1815 esplode il vulcano Tambora, nell’attuale Indonesia. Oltre a disseminare morte e distruzione nella regione, la sua eruzione condannerà il mondo intero a un «anno senza estate» nel 1816.
La violenza di quest’evento non traspare immediatamente dalla lettura delle cifre. In seguito all’eruzione, di una forza paragonabile a 30’000 megatonnellate di TNT, vengono espulsi 140 miliardi di tonnellate di materiale. Le ceneri sono disperse su un raggio di 1300 chilometri.
Una catastrofe naturale inedita
Quest’aspetto è forse più eloquente: il vulcano Tambora, che spiccava tra le più alte montagne della regione dall’alto dei suoi 4300 metri, dopo la sua esplosione misura soltanto 2800 metri.
Si tratta di una catastrofe naturale di dimensioni sconosciute all’uomo moderno, e di cui il mondo intero patirà le conseguenze. Infatti, un piccolo paese situato a 15’000 chilometri da lì sarà in seguito particolarmente toccato dall'eruzione.
Ma ritorniamo innanzitutto ai possedimenti coloniali olandesi nelle Indie orientali, nel sud est asiatico. Grazie a un pioniere inglese, siamo ancora in grado di riportare gli eventi che si sono verificati lì all’epoca: nel 1815, Sir Stamford Raffles è infatti testimone a distanza dell’eruzione, ma raccoglie soprattutto testimonianze di autoctoni.
L’eruzione nelle fonti contemporanee
Il rajah del principato oggi scomparso di Saugar descrive l’eruzione del 10 aprile in questi termini: «In poco tempo, ogni montagna in prossimità di Saugar si è trasformata in una massa di fuoco liquido che si è estesa in tutte le direzioni.
Il fuoco e le colonne di fiamme continuavano ad imperversare con un furore ininterrotto, prima di essere oscurati dalla caduta abbondante di materiale intorno alle ore 20. Alcune pietre spesse hanno allora cominciato a cadere su Saugar. Alcune erano grosse quanto pugni, ma generalmente, non erano più grandi di noci.»
Alcune colate piroclastiche sgorgano poi dalla montagna: «Tra le 21 e le 22, hanno cominciato a cadere degli ammassi di ceneri e, poco dopo, un violento tornado ha distrutto quasi tutte le case del villaggio di Saugar, trascinando con sé tetti e le parti leggere delle abitazioni.
Nella zona di Saugar che costeggia il Tambora, i suoi effetti sono stati molto più violenti poiché ha strappato le radici dei più grandi alberi e le ha trasportate [fino al mare], così come gli uomini, le case, il bestiame e tutto ciò che trovava sulla sua strada. […] Non sono più state sentite esplosioni fino alla fine della tromba d’aria, verso le 23.»
Poi, la montagna si scatena: «Da mezzanotte fino alla sera dell’11 aprile, [si sono susseguite esplosioni] senza interruzione. Poi, la loro violenza si è attenuata e sono state sentite solo ad intervalli.»
D’altronde, quando i terremoti sono cominciati il 5 aprile, la gente pensava ancora che il boato provenisse dai cannoni. Ma da quando è cominciata la pioggia di ceneri, è stato ormai chiaro che la causa era il vulcano. Le esplosioni dal 10 aprile all’11 aprile 1815 si sono fatte sentire a 2600 chilometri da lì.
Conseguenze fatali su scala mondiale
Le esplosioni poi si indeboliscono. «Ma non si sono fermate prima del 15 luglio.» In compenso, l'assenza di raccolti colpisce duramente la popolazione: per centinaia di chilometri, tutto viene ricoperto di ceneri. «La miseria è stata tale che anche una delle sue figlie [del rajah di Saugar] è morta di fame», osserva Sophia, la seconda moglie di Sir Stamford Raffles.
Le malattie non sono meno disastrose: «A causa dell’eruzione, la popolazione della regione di Bima, Dompo e Saugar è stata toccata da violente dissenterie che hanno ucciso numerosi abitanti. Gli autoctoni pensano che questo sia dovuto al consumo di acqua inquinata dalle ceneri. E un gran numero di cavalli sono morti per le stesse cause.»
L’impatto di questa catastrofe avvenuta nelle «Indie olandesi», che ha avuto conseguenze anche sulle sorti della Svizzera, è dovuto alla violenza inaudita dell’eruzione. La colonna di fumo si è innalzata fino a 43 chilometri di altezza. Alcuni gas solforosi sono penetrati così nella stratosfera, diffondendosi lungo l’equatore e disintegrandosi per formare minuscole particelle che, nello spazio di un anno, hanno ricoperto il pianeta come un velo.
La Francia e la Svizzera, i paesi più toccati
Le conseguenze sono state la diminuzione delle ore di irradiamento, un crollo delle temperature e un’estate umida con conseguenti cattivi raccolti in un’Europa che è appena uscita dalle guerre napoleoniche.
A Ginevra, il mercurio registra un abbassamento da 2,5 a 3°C, ma la situazione nella Svizzera occidentale è ancora relativamente buona: nel 1816, l’Oberland zurighese ma soprattutto la Svizzera orientale vivono una catastrofica ondata di carestia che uccide fino al dieci per cento della popolazione.
L’«anno senza estate » provoca un innalzamento critico dei prezzi in seguito ai cattivi raccolti, come descrive chiaramente un lavoro di ricerca dell’università di Berna.
«I prezzi annuali medi sono raddoppiati o triplicati su numerosi mercati in Europa tra il 1815 e il 1817. In Svizzera, l’inflazione fluttua dal 22% a Ginevra al 600% a Rorschach. In un’epoca in cui la maggior parte della popolazione doveva destinare dal 60% al 70% dei suoi guadagni all’alimentazione, molti non avevano più i mezzi per acquistare il pane quotidiano.»
L’eruzione del Tambora lascia una traccia durevole ovunque nel mondo. Nel 1817, provoca ancora delle gravi inondazioni in Europa. Ai quattro angoli del globo, le terre coltivate si estendono, mentre in Cina gli agricoltori coltivano ormai il papavero per ridurre la loro dipendenza. Ci vorrà un secolo perché venga riconosciuta e spiegata l’ampiezza mondiale della catastrofe naturale.
La Svizzera è sin dall’inizio al centro della storia: la prima persona ad aver osato scalare il Tambora dopo la catastrofe è stato il professore e botanico svizzero Heinrich Zollinger, nel 1847.
Ancora oggi, questa eruzione vulcanica avvenuta in Indonesia ci ricorda che non bisogna sottostimare le conseguenze planetarie del cambiamento climatico.
Assolutamente da non imitare! Il britannico Christopher Horsley (26 anni) è sceso a corda doppia nel cratere di tre vulcani attivi su un’isola del Pacifico meridionale.
Immagine: Dukas
La calma prima del tumulto del cratere...
Immagine: Dukas
Qualche metro più in là, la lava in ebollizione è già minacciosa.
Immagine: Dukas
Ci vuole una certa dose di audacia – o pulsione suicida – per infilarsi in questa gola infernale, dove la temperatura raggiunge i 700 °C.
Immagine: Dukas
Christopher Horsley e la sua equipe avevano impiantato il loro accampamento sul bordo del cratere.
Immagine: Dukas
Una volta giunto sul posto, Christopher Horsley ha cominciato a sondare ciò che lo attendeva.
Immagine: Dukas
Di fronte a quello che ha visto, la maggior parte delle persone avrebbero immediatamente fatto marcia indietro.
Immagine: Dukas
Ma non Christopher Horsley, che ha afferrato il suo equipaggiamento.
Immagine: Dukas
Per scendere, Christopher Horsley ha comunque indossato il casco, gli occhiali protettivi e la maschera respiratoria.
Immagine: Dukas
Ha poi effettuato la discesa insieme a un collega.
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