Erdogan silenzia Twitter Il bilancio in Turchia e Siria supera le previsioni più cupe

SDA / Red

9.2.2023 - 06:00

I gemiti sempre più flebili e sempre più rari che si levano ancora dalle macerie sono più potenti delle proteste sulle reti sociali per i ritardi nei soccorsi, ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan fa mea culpa solo in parte e tra le rovine di Hatay punta il dito sui provocatori e silenzia Twitter.

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Mentre il bilancio provvisorio del sisma di lunedì va oltre le peggiori previsioni e oltrepassa la mostruosa cifra di oltre 15'000 morti (almeno 12'391 in Turchia e almeno 2'992 in Siria) e più di 62'000 feriti, tutto quello che ha da dire il presidente è che «inizialmente ci sono stati problemi negli aeroporti e sulle strade, ma oggi le cose stanno diventando più facili e domani sarà ancora più facile».

Un ottimismo ostentato che suona sinistro di fronte alle macerie delle aree devastate al confine con la Siria dove Erdogan è arrivato mercoledì a chiedere, nonostante tutto, «unità e solidarietà».

«Abbiamo mobilitato tutte le nostre risorse. Daremo il nostro sostegno alle famiglie», ha rassicurato l'uomo forte di Ankara, ma il messaggio è un altro e punta a difendere una sola linea, la sua. «Vi chiedo espressamente di non dare un'opportunità ai provocatori», ha scandito.

Poco dopo è arrivata la notizia che Twitter, dove si erano moltiplicate proteste e critiche per i ritardi nei soccorsi, ha smesso di funzionare.

Forti critiche a Erdogan

Proprio sul «social», Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione (il Partito popolare repubblicano), si era scagliato contro Erdogan accusandolo di essere «responsabile» della «lenta reazione» nella gestione dei soccorsi e denunciando che il governo non ha mai spiegato dove siano finiti i 4,6 miliardi di dollari (oltre 4,2 miliardi di franchi al cambio attuale) raccolti con la cosiddetta tassa sui terremoti imposta dopo il violento sisma del 1999.

Certo non nella prevenzione dei disastri e nello sviluppo dei servizi di emergenza, ha denunciato a sua volta il giornalista turco Can Dundar, in esilio in Germania, vaticinando la fine politica di Erdogan: «Salito al potere con un terremoto, se ne andrà con un terremoto» che «lo seppellirà tra le macerie».

Fermati dalla polizia in 18 per post «provocatori»

Intanto, a causa di post «provocatori» diciotto persone sono state fermate dalla polizia e cinque sono state arrestate, ha riferito la televisione di stato turca TRT.

E probabilmente non basterà a placare la rabbia della gente il «sostegno» annunciato da Erdogan di circa 500 euro (la medesima somma in franchi) per ciascuna famiglia colpita.

Gli edifici distrutti sono 6444, gli sfollati almeno 300'000. Non si contano le persone che passano la notte accanto a fuochi di fortuna all'aperto, solo una coperta addosso per ripararsi dal gelo, e difficilmente basteranno i resort di lusso di Antalya, Alanya, Mersin, dove il presidente ha promesso di ospitare gli sfollati.

Riaperti i valichi ma i siriani restano senza aiuti

Le autorità e le popolazioni del nordovest siriano, fuori dal controllo del governo centrale e devastato dal terremoto, chiedono a gran voce di ricevere, dal lato turco, aiuti internazionali per far fronte all'emergenza umanitaria.

Ma finora nessun convoglio è entrato in Siria dalla Turchia nonostante tre valichi frontalieri siano stati dichiarati aperti e nonostante le dichiarazioni delle cancellerie occidentali di aver finanziato l'acquisto e l'invio di aiuti.

La situazione rimane estremamente difficile anche nelle aree siriane disastrate ma controllate dal governo. Nonostante l'arrivo, all'aeroporto di Damasco, di aiuti da parte di numerosi paesi, la macchina dei soccorsi interna procede con mille ostacoli dovuti alla carenza di mezzi di uno Stato travolto da dodici anni di conflitto armato, afflitto da sanzioni occidentali e da una crisi economica senza precedenti nella sua storia.

Polemica anche in Siria

Ad Aleppo si rischia un'epidemia di colera, ha avvertito la Fondazione italiana Avsi, impegnata nella cooperazione allo sviluppo.

E parte anche la polemica internazionale sull'impatto delle sanzioni imposte nel 2011 contro il regime di Bashar al-Assad che impedirebbero o rallenterebbero la consegna di aiuti.

«Respingo categoricamente l'accusa che le sanzioni possano aver alcun impatto sugli aiuti», ha detto il commissario europeo per la gestione delle crisi Janez Lenarcic rispondendo indirettamente anche al nunzio apostolico, il cardinale Mario Zenari, secondo cui «questa prova così tragica sarà un test, una prova di umanità sia per la Siria sia per la comunità internazionale».

Alcuni ritrovamenti miracolosi 

E mentre la terra continua a tremare – una nuova scossa di magnitudo 5,3 si è registrata a Dogansehir – i tentativi disperati dei soccorritori turchi e delle squadre arrivate da decine di Paesi di salvare ancora qualcuno dalle macerie proseguono.

Quasi un miracolo la piccola di 18 mesi estratta viva dopo 56 ore a Kahramanmaras, nel sud del Paese. E i due ragazzi salvati proprio ad Antiochia.

O Khadir, il bambino di dodici anni tirato fuori dopo 62 ore da un palazzo crollato a Nurdaği, vicino a Gaziantep, e sopravvissuto perché protetto dal corpo della madre.

O ancora la bimba di otto anni rimasta intrappolata per 40 ore a Salqin, nel nordovest della Siria, e portata in salvo, gli occhi sbarrati per lo shock ma in buone condizioni.