Governo In Spagna Sanchez non si dimette: «Resisteremo al fango»

SDA

29.4.2024 - 21:56

Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez non getta la spugna e anzi promette di andare avanti nel suo terzo mandato al governo «con ancora più forza, se possibile».

Pedro Sanchez in un immagine di aprile 2024.
Pedro Sanchez in un immagine di aprile 2024.
IMAGO/Alberto Gardin

29.4.2024 - 21:56

«Assumo l'impegno di lavorare senza tregua, con fermezza e serenità per la rigenerazione della nostra democrazia», ha detto il premier socialista nell'attesissima dichiarazione dal Palazzo della Moncloa (sede della presidenza del governo), dov'era rimasto per cinque giorni protetto da un muro di inviolabile riserbo.

Con il paese, il governo e il partito socialista sull'orlo di una crisi di nervi per l'incertezza scaturita dalla «riflessione» sul suo futuro, annunciata mercoledì scorso in una lettera alla cittadinanza.

Scaturita da quella che Sanchez ha definito «un'operazione di attacco e demolizione» condotta nei confronti della moglie, Begona Gomez, con l'avvio di un'indagine preliminare per presunto traffico di influenze e corruzione partita dalla denuncia del sedicente sindacato Manos Limpias.

«O diciamo basta o il degrado della vita pubblica determinerà il futuro»

«Mia moglie e io sappiamo che questa campagna di discredito non si fermerà, sono dieci anni che la subiamo. È grave, ma possiamo resistere», ha detto Sanchez.

Ciò che è «più rilevante», ha aggiunto, ha che vedere «con le regole del gioco» democratico.

«O diciamo basta oppure questo degrado della vita pubblica determinerà il nostro futuro, condannandoci come paese», ha enfatizzato il leader socialista, che nella missiva aveva denunciato «il pantano nel quale la destra e l'estrema destra pretendono di trasformare la politica».

Vuole «fermare il fango che sporca la vita pubblica»

Sulla decisione di non mollare il timone ha pesato «la mobilitazione sociale» di migliaia di persone, che gli hanno espresso «solidarietà ed empatia», per le quali Sanchez ha ringraziato «in modo speciale l'amato Partito socialista».

La sua decisione di restare non risponde «a calcolo politico» e rappresenta «un punto e a capo», per i capitoli da scrivere, ha assicurato.

Per poi chiudere con l'appello a fermare «il fango che da troppo tempo sporca la vita pubblica» nell'unica maniera possibile: «Con il rifiuto collettivo, sereno, democratico, al di là di sigle o ideologie,» che lui si impegna a «guidare con fermezza», per «essere esempio e ispirazione nel mondo».

Non ha parlato dei contenuti della controffensiva

Un appello alla controffensiva e alla mobilitazione progressista, sulla spinta emozionale della vicenda personale.

Nel discorso senza possibilità di domande per i cronisti, in piena campagna per le elezioni in Catalogna del 12 maggio e le europee del 9 giugno, il leader 52enne, sopravvissuto a innumerevoli crisi, non ha fatto menzione di un'eventuale mozione per rinnovare la fiducia all'esecutivo.

Né ha dato indicazioni sui contenuti della controffensiva.

Si invocano delle riforme nella giustizia

E mentre i ministri e i socialisti hanno tutti fatto un respiro di sollievo, gli alleati a sinistra di Sumar non hanno nascosto la rabbia.

«Ai tentativi di destabilizzare il governo si risponde con più democrazia e diritti», ha detto la leader, la vicepremier per il lavoro Yolanda Diaz, invocando subito una riforma del potere giudiziario e della cosiddetta «legge bavaglio» approvata a suo tempo dal Partito popolare (Pp, centro destra).

Riforme in questo senso potrebbero arrivare già martedì al Consiglio dei ministri, riferisce l'agenzia di stampa spagnola Efe. Soprattutto dopo che l'81% degli spagnoli, consultati in un sondaggio compiuto venerdì, si è detto a favore di una riforma della giustizia.

Ci sono anche delle voci critiche

Il Pp, con il leader Alberto Nunez Feijoo, ha accusato invece Sanchez di aver «montato uno show da teatro» di aver «eluso le spiegazioni». Ed è tornato a chiedere al premier dimissioni e urne anticipate. Ancora più dura l'ultradestra di Vox (estrema destra), che con Santiago Abascal ha denunciato «una grossolana manipolazione» contro i giudici.

Mentre gli alleati catalani dell'esecutivo socialista – dalla sinistra repubblicana di Erc a Junts (socioliberalismo), con il candidato a governatore in Catalogna, Carles Puigdemont – hanno parlato di «un gesto personalistico senza nessuna proposta concreta».

Ma hanno le mani legate perché la legge di amnistia non è stata ancora definitivamente approvata dal parlamento e decadrebbe nell'ipotesi di apertura di una crisi e di scioglimento anticipato delle Camere.

Mossa vincente di Sanchez?

Sanchez, secondo alcuni analisti, potrebbe così essere riuscito con il suo nuovo azzardo a far quadrare il cerchio: serrare le file fra i soci dell'esecutivo e silenziare le rumorose pretese degli alleati catalani, che rivendicavano una nuova fase con un referendum concordato sull'indipendenza della regione.

Nessuno di loro ora potrà sottrarsi alla battaglia «per la rigenerazione democratica».

SDA