Ticino Il DECS ai profughi ucraini: «Mandate i figli a scuola»

Swisstxt / Red

5.8.2022

Immagine d'illustrazione.
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KEYSTONE

«Annunciate al più presto i giovani di età compresa tra i quattro e i diciotto anni con permesso S che non sono ancora iscritti a un istituto scolastico». Così il Governo ticinese si è appellato giovedì alle famiglie dei profughi ucraini.

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5.8.2022

Questo in vista del prossimo anno scolastico, che inizierà a fine mese, il 29 agosto. 

Al momento non si può ancora dire quanti giovani ucraini corrono il rischio di non andare a scuola, in quella data. Si hanno a disposizione solo i dati di giugno, quando, alla fine dell'anno scolastico 2021/22, si stimava che 600 studenti erano già inseriti nei vari ordini scolastici, mentre ne mancavano all'appello 200. Si tratta di un numero che oggi potrebbe essere aumentato. 

Il DECS sta contattando le famiglie dei profughi

Per queste ragioni il DECS (Dipartimento dell'educazione, della cultura e dello sport) si è attivato per contattare le famiglie di profughi, sensibilizzandole sull'importanza della scolarizzazione dei figli. 

«In generale le reazioni sono positive, ci sono però anche degli indirizzi che non risultano essere corretti, quindi bisogna effettuare delle nuove ricerche. Poi c'è tutta una parte relativa alla Scuola dell'infanzia ed elementare che compete invece le autorità comunali, di cui i dati non sono ancora completi», spiega ai microfoni della RSI Manuele Bertoli, consigliere di Stato e direttore del DECS.

Alcune famiglie non scelgono la scuola in Ticino 

Le autorità cantonali sono preoccupate soprattutto per le famiglie che scelgono di non mandare i figli a scuola in Ticino, forse con la speranza di rientrare in Ucraina presto o per seguire la scuola a distanza. 

«Se la permanenza di queste famiglie sul nostro territorio si prolunga nel tempo - e purtroppo le avvisaglie vanno un po' in questa direzione - è chiaro che non andare a scuola per due o tre mesi dopo la fuga dall'Ucraina è una cosa, mentre è un'altra cosa non cominciare un anno scolastico», afferma Bertoli.

Per i giovani questo comporterebbe l'«accumulare ritardi con una permanenza più duratura sul territorio», che quindi «diventano un problema per loro e anche per la società che li ospita», conclude.