Permessi non rinnovati Agenti di sicurezza italiani, il DI spiega: «Roma non ci dà informazioni»

SwissTXT / pab

22.10.2020 - 18:26

In molti rischiano di non poter più lavorare
In molti rischiano di non poter più lavorare
Source: archivio Ti-Press

Sono decine, forse anche più di un centinaio, gli agenti di sicurezza privata che rischiano di perdere il posto di lavoro perché titolari di un permesso per stranieri che non verrà rinnovato.

A dirlo è il sindacato Unia, che recentemente aveva denunciato il blocco delle autorizzazioni da parte del Dipartimento delle istituzioni.

Dipartimento che oggi, giovedì, ha risposto, non direttamente al sindacato, ma agli autori di un'interpellanza datata 27 settembre: da inizio anno l'Italia non ci fornisce più le informazioni necessarie per poter rilasciare questi permessi.

Il servizio armi, esplosivo e sicurezza privata della polizia cantonale, sostiene, è conforme al diritto e garantisce equità di trattamento.

Impossibilità di certificare la buona condotta

La decisione di non rilasciare autorizzazioni a cittadini italiani (si tratta sia di frontalieri che di residenti in Ticino da meno di cinque anni) deriva dall'impossibilità di certificare la buona condotta, per la quale non basta l'estratto del casellario giudiziale, ma occorre un accesso alle banche dati di polizia, accesso che da inizio anno non è più garantito al centro di cooperazione di Chiasso per una questione di interpretazione del relativo accordo internazionale.

Il Cantone, si precisa, sta cercando di risolvere la situazione. Ha contattato i questori delle province confinanti, ha spiegato Norman Gobbi. Nel frattempo «si vuole evitare che un cittadino italiano possa ricevere l’autorizzazione solo perché il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata non ha accesso alle informazioni necessarie, mentre le verifiche avvengono sui cittadini svizzeri».

«Questione giuridica che deve essere approfondita»

Questo «zelo» aveva insospettito il sindacato, che aveva ipotizzato «un uso strumentale della legge per le scelte politiche della direzione del Dipartimento istituzioni» e chiesto la revoca della decisione, che risale al 16 settembre.

Il segretario Giangiorgio Gargantini è soddisfatto che il DI abbia messo nero su bianco le sue ragioni: ora, spiega, «si tratta di verificare se le richieste svizzere sono legittime e se lo Stato italiano deve fornire certe informazioni. È una questione giuridica che deve essere approfondita».

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