Limiti e incognite Omicidio di Aurigeno, lo psichiatra: «Sono pochi quelli che passano all’atto»

SwissTXT / red

15.5.2023

Nella foto un dettaglio del centro scolastico Ronchini, in cui è avvenuto il fatto di sangue.
Nella foto un dettaglio del centro scolastico Ronchini, in cui è avvenuto il fatto di sangue.
© Ti-Press / Maria Linda Clericetti

In un'intervista alla RSI, lo psichiatra Tazio Carlevaro parla dei limiti che le istituzioni e gli esperti possono avere nel prevenire un delitto come quello accaduto giovedì alle scuole dei Ronchini ad Aurigeno.

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15.5.2023

L'omicidio di giovedì alla scuola di Aurigeno, dove un 42enne del Locarnese ha ucciso a colpi d’arma da fuoco il custode 41enne, è stato un fatto che è andato ben oltre le minacce, che il carnefice aveva rivolto alla vittima per il legame con la sua ex moglie.

Quelle minacce, sia fisiche che sui social media, così come il ricovero coatto a cui è stato sottoposto l'assassino negli scorsi mesi, erano un campanello d’allarme?

I campanelli d’allarme non sempre sono chiari come appaiono con il senno di poi, spiega alla RSI lo psichiatra Tazio Carlevaro: «Ci sono molti segnali d’allarmi e sono variabili a seconda delle persone. Alcune minacciano ed altre pensano e basta. Con le persone che pensano e basta non si saprà mai» quello che avevano in mente.

Negli individui che proferiscono minacce, spiega Carlevaro, «c’è sempre un’emotività molto forte e c’è sempre qualche cosa che stanno perdendo. Può essere la stima di sé stessi oppure la presenza di altre persone».

Sempre, in questi casi, «c’è un aspetto minaccioso. Però sono molto pochi quelli che passano all’atto», continua l’esperto. Stabilire se passeranno all’azione «è la grande incognita di fronte a queste situazioni».

E le istituzioni?

Il compito delle istituzioni è quindi quello di monitorare le situazioni critiche. «Possono fare quello che sono in grado di fare. Ad esempio, la libertà di una persona non può essere tolta sulla base solo di sospetti. Deve essere qualcosa che allarma e magari delle prove che c’è già stato un tentativo», dice Carlevaro.

Come ricorda la RSI, l’omicida di Aurigeno era già stato ricoverato in modo coatto a Mendrisio nel 2022, ma l’ospedalizzazione non è risolutiva: «Se una persona entra in clinica può calmarsi, o anche parlando, perché trova un mondo in cui non esiste solo il suo problema. Ma una volta tornato a casa si ritrova nella situazione e nell'ambiente di prima» precisa l'esperto.

Lo psichiatra assume un ruolo importante

Un metro di valutazione importante è affidato alla figura dello psichiatra: «Il suo ruolo è di valutare l’importanza dell’emotività di una persona e le sue capacità di dominare la propria risposta attiva che vorrebbe dare. Può essere un omicidio, ma anche un suicidio. Soltanto che non esiste un test che ti dia una risposta, non esiste un esame. Non c’è nulla di questo tipo».

Rimane il legame stretto tra il dolore che la persona vive, per esempio a causa di un sentimento come la gelosia, e la trasformazione di questo dolore in qualche cosa di crudele.

«Certo, in un certo senso sì», risponde Carlevaro. «Significa l’abolizione della propria coscienza morale» che avviene «quando uno si sente preso nel proprio narcisismo e crede sia lecito ciò che fa, e che sia anche una buona cosa per se stesso. Anche se sa che ci saranno grossi problemi da affrontare non gli importa, perché pensa di aver risolto il suo problema».

«Queste non sono cose ragionevoli, ma in quel momento, per l'autore l'emotività è troppo forte», conclude ai microfoni della RSI lo psichiatra.

Lunedì i bambini di Aurigeno sono tornati a scuola e la giornata si chiuderà con una fiaccolata, rivolta unicamente ai membri della comunità della Vallemaggia.