Colpa del SaharaLa tanta neve non basta, i ghiacciai svizzeri arretrano ancora
hm, ats
15.8.2024 - 13:00
Chi sperava che l'abbondante neve caduta l'inverno scorso potesse aiutare i ghiacciai svizzeri a recuperare volume deve purtroppo ricredersi: la colpa è delle quantità inusualmente forti di sabbia arrivate dal Sahara.
Keystone-SDA, hm, ats
15.08.2024, 13:00
15.08.2024, 13:11
SDA
Sul fronte degli arretramenti delle masse ghiacciate gli esperti speravano in realtà quest'anno in una pausa, riferisce oggi Der Bund. In inverno ha infatti nevicato come non mai: l'inizio della primavera su numerosi ghiacciai elvetici c'erano strati di neve alti diversi metri. «Per trovare una quantità significativamente maggiore bisogna tornare indietro agli anni 70», spiega al quotidiano Matthias Huss, glaciologo al Politecnico federale di Zurigo (ETH).
Lo specialista riteneva che il 2024 sarebbe potuto essere l'anno in cui le massicce perdite degli ultimi due anni fossero in qualche modo compensate. Prevedeva che alla fine di settembre, al termine dell'anno idrologico, il bilancio di massa fosse equilibrato per molti ghiacciai svizzeri, cosa che si è vista per l'ultima volta nel 2014.
«Fino a giugno sembrava tutto perfetto, ci sono state numerose giornate fredde e neve fresca a ripetizione», afferma Huss. Con il perdurare del clima fresco e piovoso dell'estate, il glaciologo si aspettava addirittura una crescita media del ghiaccio di 20 centimetri per tutto l'anno.
Lo studioso è poi andato in vacanza per quindici giorni e al suo ritorno è rimasto sorpreso: i dati della rete di misurazione parzialmente automatizzata hanno mostrato un quadro diverso. «Nelle ultime sei settimane, su diversi ghiacciai si è perso uno strato di neve spesso fino a quattro metri», sottolinea l'esperto. «Ora il bilancio di massa dei dodici ghiacciai misurati ha già raggiunto la linea dello zero, il che significa che stanno perdendo ghiaccio a ogni ulteriore giorno di caldo». La situazione rimane quindi preoccupante: anche se le condizioni meteorologiche più favorevoli degli ultimi dieci anni dovessero prevalere sino all'autunno la perdita di ghiaccio non potrà essere evitata.
Come spiegare il forte cambiamento da giugno? Secondo Huss c'è solo un modo. Oltre alle alte temperature di luglio, la polvere sahariana sulla neve deve avere accelerato lo scioglimento. «Senza un'indagine dettagliata, questa è una speculazione, ma è la spiegazione più plausibile».
Nel periodo di Pasqua e in maggio i venti meridionali hanno portato in Europa una quantità insolita di polvere sahariana. Per molto tempo, i granelli del deserto non sono stati visibili sulla neve perché sono stati ripetutamente coperti dalla neve fresca: la polvere si è trovata fino a 2 metri sotto la superficie della neve. Ma quando in primavera ha fatto sempre più caldo e la neve si è gradualmente sciolta, la sabbia del Sahara è ricomparsa.
Questo ha resto il manto nevoso sempre più sporco, con effetti sulla riflessione del sole. Quando la neve si scioglie, viene riflesso circa il 50% dei raggi solari, ma quando la neve è sporca, la percentuale è notevolmente inferiore. «Questo varia da luogo a luogo, ma il tasso diminuisce in ogni caso», osserva Huss.
L'inverno nevoso ha almeno contribuito a garantire che il 2024 non sarà un anno di perdite record di ghiaccio: ma è improbabile che i ghiacciai si possano riprendere. Stando alla rete di monitoraggio Glamos il volume dei ghiacciai svizzeri è diminuito del 10% negli ultimi due anni. Ciò significa che si è perso tanto ghiaccio quanto tra il 1960 e il 1990: i ricercatori parlano di un declino drammatico. Ciò è dovuto a inverni con scarse precipitazioni ed estati molto calde, complice il riscaldamento globale.
Se in futuro i forti venti di trasporto di polvere sahariana dovessero diventare più frequenti lo scioglimento potrebbe risultare ulteriormente accelerato. Un'analisi del 2021 stima che la frequenza degli eventi in questione osservati dai satelliti sia raddoppiata tra il 2005 e il 2019. Una ragione potrebbe essere il cambiamento della circolazione atmosferica delle masse d'aria, ma non ci sono ancora prove scientifiche al riguardo, conclude il giornale.