Il nuovo presidente dei Verdi Glättli: «Il successo dei Verdi non è cominciato con Greta Thunberg»

Gil Bieler

28.6.2020

Malgrado i dissensi della scorsa settimana, Balthasar Glättli considera sempre il PS come un «alleato naturale» dei Verdi.
Malgrado i dissensi della scorsa settimana, Balthasar Glättli considera sempre il PS come un «alleato naturale» dei Verdi.
Keystone

Balthasar Glättli è stato eletto sabato scorso alla testa dei Verdi. In questa intervista, il nuovo presidente del partito evoca la pressione indotta dal successo, le querelle con il PS e le regioni per le quali desidera ripensare l’economia malgrado il rischio di recessione.

A causa del coronavirus, l’assemblea dei delegati dei Verdi si è svolta, una settimana fa, in modo virtuale. I punti più importanti all’ordine del giorno sono stati tuttavia affrontati: sabato 20 giugno, Balthasar Glättli (che era l’unico candidato) è stato eletto presidente. Il zurighese sostituisce Regula Rytz, che ha guidato il partito per otto anni.

Signor Glättli, lei assume il comando di un partito che ha conseguito un successo storico. Non dorme la notte all’idea che la sua stagione possa essere caratterizzata da perdite di voti?

Vedo le cose in modo inverso. Assumere la guida di un partito così forte rappresenta un’eccellente opportunità. Chiaramente beneficerò del lavoro di chi mi ha preceduto e dei nostri compagni di partito nei cantoni. Il successo dei Verdi non è cominciato soltanto con gli scioperi per il clima e con Greta Thunberg: non cessiamo di crescere da tre anni, tre anni e mezzo. A Berna, il nostro gruppo conta ormai il triplo dei membri, il che ci permette di impegnarci a favore della causa ecologista.

Ma pensa di potersi mantenere ad alti livelli con i Verdi?

Si è trattato di una vittoria elettorale di un’ampiezza che nessuno aveva previsto. Ed è per questo che non voglio speculare su ciò che accadrà di qui a quattro anni. Chiaramente, confermare un risultato da record è ambizioso. Ma per me si tratta anche di una delle ragioni per le quali mi sono candidato alla presidenza: in quanto co-direttore della campagna, con Lisa Mazzone, ho ritenuto fosse mio dovere proseguire questo cammino.

Qual è la prima cosa che le piacerebbe cambiare all’interno del partito?

È una domanda un po’ strana. Non possiamo aver sbagliato tante cose. Ce ne sono alcune che rappresentano certamente una sfida: dobbiamo dare ai nostri numerosi nuovi membri la possibilità di impegnarsi. Penso non soltanto alle sezioni locali, ma anche ai forum di discussione. Durante la pandemia di Covid-19 abbiamo adottato una nostra piattaforma di chat, simile a WhatsApp, sui nostri server e sotto il nostro controllo. E troveremo certamente altri mezzi per essere ancora più di prima un autentico partito partecipativo.

In questo momento ci sono nuove grandi manifestazioni nelle strade, non per il clima, ma per il razzismo: quale apporto possono dare i Verdi a questa discussione?

La questione è sapere quale sia il nostro approccio di fronte alle minoranze e alle discriminazioni, non soltanto quelle legate al colore della pelle. E sono convinto che i Verdi siano credibili su questo aspetto tanto quanto lo sono sulla protezione del clima. In effetti, vede, molti manifestanti per il clima alla fine hanno votato per noi perché abbiamo mantenuto la questione climatica in cima alle priorità, anche in momenti in cui il tema non era così «attraente». Allo stesso modo, sono già parecchi anni che difendiamo i diritti fondamentali, altra questione non sempre «attraente».

Con dei movimenti popolari così attivi, abbiamo ancora bisogno dei partiti tradizionali?

Sì, perché un movimento non sostituisce un partito. Esattamente come un partito non sostituisce un movimento. I Verdi sono essi stessi nati in un momento in cui i movimenti ecologisti e pacifisti tentavano di far ascoltare alle istituzioni le loro preoccupazioni. Per garantire che questa pressione venga esercitata sul lungo periodo, occorrono coerenza e una certa organizzazione. Al contempo, un partito deve rimanere aperto alla dinamica di un movimento popolare. Per me sono due facce della stessa medaglia: nella strada e nei quartieri, ma anche in Parlamento.

«La questione è sapere quale sia il nostro approccio di fronte alle minoranze e alle discriminazioni, non soltanto quelle legate al colore della pelle»

In Parlamento la settimana scorsa avete affossato una mozione d’ordine del PS. È segno del suo desiderio di emancipare il suo partito dai socialisti?

No, si tratta di un’interpretazione totalmente sbagliata. Sul contenuto, sono sempre stato d’accordo con il PS: è scandaloso che il Consiglio federale abbia tagliato di colpo i fondi destinati alle PMI e agli indipendenti. Contrariamente alla grande maggioranza, compreso il gruppo dei Verdi, avevo un problema soltanto con il fatto che ciò infrangesse le regole parlamentari.

Sono forse un po’ troppo sensibile su questo punto, ma da tempo ascolto le preoccupazioni dei richiedenti asilo e dei senzatetto dal punto di vista dei diritti fondamentali e ho potuto constatare quanto sia importante che lo Stato di diritto rispetti le sue stesse regole. Ovviamente vale lo stesso per il Parlamento. Ma poi ho discusso con il PS e stiamo ricercando soluzioni comuni: dobbiamo far sì che il Consiglio federale confermi il proprio sostegno!

Il PS è un alleato o piuttosto un concorrente?

Il PS è il nostro alleato naturale. Entrambi i partiti stanno cambiando presidente. Occorrerà dunque stabilire una nuova base di intesa. Intravedo tuttavia una buona cooperazione con la coppia di candidati ormai noti, Cédric Wemuth e Mattea Meyer. Dopotutto, il nostro obiettivo non dev'essere crescere a spese dell’altro, ma farlo insieme.

Con quali altri partiti può immaginare di allearsi?

Il nostro secondo alleato, principalmente nel settore dell’ambiente e sulle questioni legate al social-liberalismo è il Partito Verde Liberale della Svizzera. Con gli altri partiti borghesi, la situazione varia in funzione del tema. Il PLR può aiutare di più su questioni di social-liberalismo, mentre il PPD su questioni di politica sociale o di protezione ambientale. Mi preoccuperebbe di più se quest'ultimo facesse il contrario, come quattro anni fa.

Cosa intende?

Dopo le elezioni del 2015, si parlava di uno scivolamento verso destra, che si è quindi manifestato con la terza riforma fiscale delle imprese, assolutamente esagerata. Dopo la cocente sconfitta alle urne, il PPD ha seguito una politica di centro-sinistra più pronunciata. Se oggi si producesse il contrario, ovvero che il PPD puntasse piuttosto a destra dopo lo scivolamento dello scorso autunno verso la sinistra ecologista, ciò potrebbe essere pericoloso per la legislatura.

Negli ultimi mesi si è parlato soprattutto della crisi del coronavirus. Come conta di rendere di nuovo popolari i temi cari ai Verdi?

Nel corso degli ultimi mesi tutti i temi ad eccezione della crisi del coronavirus sono scomparsi. Ma mi basta guardare il numero di mail e di domande che riceve il partito per rendermene conto: il riscaldamento globale rappresenta la grande crisi del nostro tempo e c’è una presa di coscienza sul tema. La crisi del coronavirus ha forse mostrato anche che i rischi sui quali si viene messi in guardia possono alla fine concretizzarsi. Perché è proprio questo il problema legato ai cambiamenti climatici: si tratta di un processo lento e molte persone si chiedono se gli allarmi non siano esagerati. È per tale ragione che penso che possiamo imparare dall’esperienza della pandemia.

Non c’è il rischio che dopo la crisi del coronavirus le persone si dicano: «Ne abbiamo abbastanza di ricevere cattive notizie»?

La crisi climatica non è soltanto una minaccia: è anche un’opportunità. Possiamo evitare di ricostruire un’economia identica a prima e investire invece in un modello verde, capace di creare i posti di lavoro di domani. Possiamo generare nuovi impieghi, investire nell’innovazione. E ne potremo beneficiare in Svizzera così come sul mercato mondiale.

L’economia è di fronte al rischio della peggiore recessione degli ultimi 40 anni. È davvero il momento giusto per ripensarla?

È assolutamente il momento migliore per un Green New Deal. La Svizzera dovrà investire ancora di più nell’economia dopo l’aiuto d’emergenza che è stato appena concesso. E occorrerebbe operare nel modo giusto da subito: evitare di investire prima nella ricostruzione e solo dopo nella ristrutturazione. Sin dall’inizio bisogna puntare ad un ripensamento verde del sistema. Il Green Deal punta a fare lo stesso nell’Unione europea. Certo, resta ancora molto lavoro da fare concretamente, ma è la strada che dobbiamo seguire. Altrimenti, saremo costretti a mettere mano al portafoglio due volte.

«Una delle nostre più grandi preoccupazioni è che si entri ora in una fase di rigore eccessivo, di austerità»

Però le entrate fiscali diminuiranno in caso di recessione: il settore pubblico avrà meno risorse a disposizione…

… ed è una della nostre più grandi preoccupazioni: l’idea che si entri ora in una fase di rigore eccessivo, di austerità.

Quale sarebbe allora la soluzione?

Dobbiamo considerare come straordinarie le spese che abbiamo fronteggiato nel corso della crisi del COVID-19. Ciò ha necessitato di risorse eccezionali. Da una parte, può darsi che si debba procedere a degli aggiustamenti sul freno all’indebitamento: ma questo evento puntuale non deve comportare un impatto troppo grande sui bilanci ordinari. D’altra parte, la Banca nazionale dispone di una riserva per stanziamenti futuri da 84 miliardi di franchi. È denaro che è già stato messo da parte perché la Banca nazionale distribuisce al massimo quattro miliardi di franchi all’anno, pur incassandone in realtà di più.

Una terza opzione consisterebbe nel chiedere un contributo alle imprese che hanno guadagnato grazie alla crisi. Si potrebbero ad esempio immaginare dei prelievi temporanei sui dividendi. Se chi è uscito vincitore dalla crisi contribuisse in modo maggiore alla risoluzione dei problemi da essa causati, si tratterebbe di una cosa giusta.

Guardiamo ancora al futuro: la Svizzera è pronta per un Consiglio federale verde, o si sente a suo agio all’opposizione?

Ho la sensazione che la Svizzera fosse già pronta lo scorso anno. La maggioranza in Parlamento non era certamente pronta. È incomprensibile, a dire il vero: le elezioni devono avere delle conseguenze. E parliamo d’altra parte della più grande vittoria elettorale da cento anni.

E sarebbe pronto a candidarsi?

No. Ma tra i Verdi, dovremo assicurarci di avere dei buoni candidati quando si presenteranno i prossimi seggi al potere. E dovremo adottare un approccio strategico per sapere se sarà il momento giusto o meno. La mia missione in qualità di presidente del partito è di vigilare affinché si abbia sempre a disposizione una selezione di personalità ecologiste, di cui una sia pronta a scendere in campo. Ma a titolo personale, non ne avrei voglia.

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