Digitale & LifestyleAlcol: gli scienziati spiegano il fenomeno del «binge drinking»
CoverMedia
5.11.2018 - 16:11
Un nuovo studio mette in luce delle terapie innovative per curare l’alcolismo.
Scientificamente parlando, i nostri geni sono responsabili di tantissime caratteristiche della nostra persona. Ma non si tratta solo dell’altezza e del colore degli occhi. Secondo una nuova ricerca condotta presso la University of Illinois di Chicago, USA, pare che anche la tendenza a consumare alcol dipenda da fattori genetici.
In particolare, il team capitanato dal professor Mark Brodie, si è concentrato sulle dipendenze e sul fenomeno del cosiddetto binge drinking, ovvero la tendenza a consumare enormi quantità di alcol in una volta sola, con l’unico scopo di inebriare i nostri sensi.
I ricercatori hanno condotto l’esperimento in laboratorio sui ratti, monitorando una regione del cervello chiamata area tegmentale ventrale (VTA), che rilascia dopamine, composti chimici che ci offrono una generale sensazione di benessere. Dottor Brodie ha scoperto che l’alcol è un fattore di blocco per un canale di potassio chiamato KCNK13, collocato proprio nella membrana della VTA. Quando questo canale viene bloccato, i neuroni aumentano la loro attività e rilasciano più dopamine.
«Noi crediamo che i ratti con meno KCNK13 nella VTA tendano a consumare più alcol al fine di raggiungere lo stesso effetto appagante dei ratti che hanno bevuto quantità normali», ha dichiarato il professore. «Il canale KCNK13 è assolutamente necessario affinché l’alcol stimoli il rilascio di dopamine da parte dei neuroni. Senza questo canale, l’alcol non è in grado di stimolare il rilascio di dopamine e dunque bere risulta meno appagante. Noi pensiamo che il canale KCNK13 rappresenti un nuovo, entusiasmante oggetto di studio che, potenzialmente, potrebbe aiutare tantissime persone con problemi di dipendenza».
I farmaci attualmente disponibili per ridurre l’impatto dell’alcol sul cervello funzionano un po' come la manopola del volume di uno stereo, quando si abbassa. Un medicinale che va dritto al canale KCNK13, invece, sarebbe diverso, come un interruttore che accendi e spegni. Se è spento, l’alcol non induce l’aumento del rilascio di dopamine».
La ricerca è stata pubblicata nella rivista scientifica Neuropharmacology.
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