Secondo una nuova ricerca, questo sentimento non si sviluppa solo con l’esperienza di vita, ma è parzialmente influenzato dal DNA.
La capacità delle persone di esprimere un sentimento di empatia è il risultato di una combinazione di fattori esterni – l’educazione, le nostre esperienze personali, ecc. – e fattori interni: il nostro patrimonio genetico.
Lo rivelano i ricercatori dell’Università di Cambridge, che in collaborazione con gli esperti di genetica di 23andMe e un team di scienziati internazionali hanno condotto uno studio sull’empatia, coinvolgendo oltre 46mila individui e analizzando le loro capacità di comprendere le emozioni e i sentimenti delle altre persone.
La ricerca, la più vasta effettuata sul tema, si è basata su un questionario chiamato Empathy Quotient (EQ), e su un campione di saliva per le analisi genetiche.
«Questo è un passo importante verso la comprensione del piccolo ma decisivo ruolo che la nostra genetica ricopre nell’empatia», ha spiegato il ricercatore Varun Warrier. «Ma dobbiamo tenere in conto che solo un decimo delle differenze individuali in questo ambito, nell’intera popolazione, è causato da fattori genetici. È importante esplorare anche gli altri fattori che giustificano il restante 90%».
Lo studio ha messo in luce alcuni dati curiosi, per esempio che le donne tendono ad essere più empatiche degli uomini, ma non per questioni di DNA, visto che non vi sono differenze di geni che contribuiscano al livello di empatia in uomini e donne. Ancora, alcune varianti genetiche associate ad un basso livello di empatia sono state associate anche ad un maggiore rischio di autismo.
«Scoprire che anche solo una frazione delle ragioni per cui manifestiamo diversi livelli di empatia è dovuta a questioni genetiche ci aiuta a capire più a fondo gli individui che soffrono di autismo e il modo in cui essi immaginano le emozioni e la sofferenza delle altre persone», ha dichiarato professor Simon Baron-Cohen, direttore del Centro di ricerca per l’autismo presso l’università inglese.
La ricerca è stata pubblicata nella rivista scientifica Translational Psychiatry.
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