Lifestyle Zucchero: come la cocaina nelle dipendenze

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1.12.2017 - 13:59

Sugar.

When: 05 Jan 2016

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**Only for use by WENN CPS**
Sugar. When: 05 Jan 2016 When: 05 Jan 2016 **Only for use by WENN CPS**
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(Cover) - IT Fitness & Wellbeing - Lo zucchero e la cocaina hanno principalmente due cose in comune: danno dipendenza e causano crisi d’astinenza. Un team di ricerca presso l’università del Kansas Saint Luke Mid America Heart Institute, ha scoperto che gli zuccheri attivano determinate reazioni a livello cerebrale, paragonabili a quelle del consumo di cocaina. Questo significa che non solo il desiderio di consumare dolci può essere irresistibile, ma anche i problemi legati allo «smettere» possono diventare enormi. Tra le condizioni di salute più comuni causate da tale dipendenza vi sono anche l’ansia, la depressione e la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD).

«Consumare prodotti che contengono zucchero ha un effetto molto simile a quello della cocaina: entrambi alterano l’umore, possibilmente attraverso la sua abilità di indurre piacere», spiega il dottor James DiNicolantonio, a capo della ricerca.

L’assunzione di zuccheri causa infatti il rilascio di dopamine e altre sostanza «positive» nel cervello, un fenomeno ormonale strettamente collegato alla dipendenza dalle sostanze oppioidi.

«Nei periodi di scarsità di cibo, l’aumento del consumo di alimenti che possiedono un alto apporto di zuccheri avrebbe aumentato le probabilità di sopravvivenza. Oggi come oggi, invece, gli zuccheri sono confinati ad una categoria di sostanze simili a quelle chimiche».

I ricercatori hanno osservato anche che gli esseri umani devono ancora adattarsi a questa condizione di piacere ed appagamento che proviene dagli zuccheri raffinati, e che a causa di un accesso tanto facile agli alimenti che li contengono, le pause nel consumo di cibo sono sempre più brevi.

«Il piacere che arriva dagli zuccheri non è naturale e supera quello dell’abuso di droghe, scavalcando i meccanismi di autocontrollo e predisponendoci alla dipendenza», ha continuato il dottore.

L’esperimento è stato condotto sui ratti, ma i ricercatori sono convinti che i risultati sarebbero gli stessi se il campione di ricerca fosse umano. Lo studio è stato pubblicato nella rivista scientifica British Journal of Sports Medicine.

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