Il fotografo Josef Koudelka: i suoi scatti del fallimento della Primavera di Praga l'hanno reso celebre.
Oggi ottantenne, non ha alcuna intenzione di andare in pensione.
Le fotografie di Josef Koudelka sono state esposte nel mondo intero: ad esempio a Buenos Aires, in Argentina.
Le sue immagini hanno catturato l'atmosfera che si respirava nelle strade di Praga: la rabbia della popolazione, la frustrazione e le proteste di massa contro i soldati e i carri armati arrivati per bloccare la Primavera di Praga.
Nel 2013, Josef Koudelka ha presentato le sue opere alla Biennale di Venezia.
In occasione del 50esimo anniversario della repressione, le foto di Josef Koudelka sono state esposte nelle vie della città.
Il museo di Arti decorative di Praga dedica attualmente una retrospettiva completa al fotografo.
Josef Koudelka, il fotografo della Primavera di Praga
Il fotografo Josef Koudelka: i suoi scatti del fallimento della Primavera di Praga l'hanno reso celebre.
Oggi ottantenne, non ha alcuna intenzione di andare in pensione.
Le fotografie di Josef Koudelka sono state esposte nel mondo intero: ad esempio a Buenos Aires, in Argentina.
Le sue immagini hanno catturato l'atmosfera che si respirava nelle strade di Praga: la rabbia della popolazione, la frustrazione e le proteste di massa contro i soldati e i carri armati arrivati per bloccare la Primavera di Praga.
Nel 2013, Josef Koudelka ha presentato le sue opere alla Biennale di Venezia.
In occasione del 50esimo anniversario della repressione, le foto di Josef Koudelka sono state esposte nelle vie della città.
Il museo di Arti decorative di Praga dedica attualmente una retrospettiva completa al fotografo.
Le immagini scattate da Josef Koudelka hanno documentato la Primavera di Praga e la repressione sovietica.
Il sistema radar dell'Unione Sovietica
Sistema radar dell’Unione sovietica
Nell'aprile del 1986, Chernobyl è stata colpita dalla più disastrosa catastrofe nucleare della storia. Due esplosioni in sequenza hanno distrutto uno dei quattro reattori del sito, con la conseguenza dell'emissione di particelle radioattive nell'atmosfera.
All'epoca, nella vicina città di Pripiat vivevano 47'000 persone, la maggior parte delle quali lavorava alla centrale. All'indomani della catastrofe, 135'000 persone sono state evacuate, rendendo di fatto Pripiat una città fantasma.
Da quel momento, le autorità hanno allestito un perimetro di sicurezza di 30 km intorno a Chernobyl. La zona vietata non soltanto è contaminata dalla radioattività, ma custodisce un segreto dell'armata russa.
Il disastroso incidente nucleare ha anche interessato il sistema di rilevamento dei missili Duga.
Al tempo della guerra fredda, questi colossi di acciaio costituivano un'arma importante per l’esercito russo. Ancora oggi, più di 60 colossi d'acciaio si levano verso il cielo, i più alti dei quali culminano a 150 metri.
Il sistema era in grado di rilevare obiettivi a fino a 9000 chilometri di distanza. Per fare un raffronto, la distanza tra Chernobyl e New York è di 7500 chilometri.
La base militare segreta è stata costruita nel 1976 ed è stata in funzione fino alla catastrofe di Chernobyl, in seguito alla quale si sono susseguite le più disparate speculazioni nel mondo intero.
Il sistema emetteva infatti un segnale a onde corte che si poteva ascoltare attraverso le frequenze radio. Il rumore somigliava a uno crepito secco e ripetitivo, cosa che gli è valso il soprannome di «Woodpecker» (in italiano: picchio).
Queste foto mostrano una rara prospettiva dell'installazione, un tempo segreta.
Gli edifici hanno anche subito le devastazioni del tempo.
Il cuore del sistema. La sala di controllo.
Sembrerebbe che i pannelli di comando siano ancora in servizio.
Ma l'installazione non è più in funzione da molto tempo.
Le autorità russe hanno da tempo fatto scomparire i documenti sensibili ed altre tecnologie segrete.
Per accedere all'installazione, è necessaria un'autorizzazione speciale.
Le fosse comuni di Stalingrado
Le fosse comuni di Stalingrado
Nella città una volta chiamata Stalingrado si continuano a scoprire cadaveri di soldati morti in battaglia, le cui spoglie sono trasferite in cimiteri militari veri e propri, come quello di Rossoschka, situato a circa 40 chilometri dalla metropoli russa.
Soldati dell’esercito tedesco dopo la capitolazione, il 2 febbraio 1943. La battaglia di Stalingrado, città ribattezzata Volgograd nel 1962, rappresentò per la Germania la prima pesante sconfitta militare contro l’Unione Sovietica e un punto di non ritorno per le sorti dell’intero fronte orientale.
Dopo essere stati catturati a Stalingrado nel corso di un combattimento urbano, due soldati tedeschi passano davanti ad un militare sovietico con le mani in alto (immagine d’archivio del 25 febbraio 1943).
Dopo la resa, dei soldati tedeschi catturati dai sovietici sfilarono nella città. Alla fine del mese di novembre del 1942, la 6° armata della Germania nazista - che con circa 280.000 uomini comandati dal generale Friedrich Paulus, era riuscita a raggiungere la città di Stalingrado, nel Sud della Russia, alla fine di agosto – si è ritrovata accerchiata dall’esercito di Mosca. Malgrado il divieto di resa imposto da Adolf Hitler, Paulus aveva alzato bandiera bianca, soprattutto in ragione della situazione disastrosa degli approvvigionamenti.
Al termine della battaglia, dei soldati tedeschi fatti prigionieri dai sovietici attraversano le rovine della città in un freddo glaciale (immagine d’archivio del 31 gennaio 1943).
Si stima che nel corso dell’inverno 1942/43 circa 700.000 soldati e civili delle due parti in conflitto abbiano perso la vita nella battaglia di Stalingrado.
Numerosi storici parlano addirittura di più di un milione di morti. Dopo la guerra, numerosi corpi sono stati gettati in fosse comuni dalla popolazione.
Una stazione di periferia dopo l’attacco di un bombardiere durante la battaglia di Stalingrado. Ancora oggi, non è raro che degli operari al lavoro si imbattano in resti umani nella città un tempo assediata, come riferito da Peter Lindau, del «Volksbund Deutsche Kriegsgräberfürsorge» (Servizio per la cura delle sepolture militari tedesche) a Mosca.
I visitatori del museo della battaglia di Stalingrado, situato nell’attuale città di Volgograd, possono farsi un’idea dei combattimenti dell’epoca.
Il mulino di Grudinin, distrutto durante la battaglia, rappresenta oggi un memoriale.
La fabbrica di costruzione di trattori di Stalingrado, interamente distrutta.
Un attacco ad un’unità russa.
Dei carri tedeschi confiscati dai sovietici a Stalingrado.
Il maresciallo sovietico Georgij Konstantinovic Zukov in un ritratto dell’epoca (non datato). Il militare ha bloccato l’avanzata tedesca verso Mosca nel 1941, coordinato le truppe sovietiche nella battaglia di Stalingrado e liberato Berlino con l’Armata Rossa nel 1945.
Il 2 febbraio 1943, la resa di ciò che rimaneva della 6° armata tedesca tra le rovine di Stalingrado segna la fine della lotta per la città russa. Al termine di una battaglia urbana particolarmente violenta, l’Armata Rossa, quella tedesca e i loro alleati avevano lasciato sul campo centinaia di migliaia di morti. Sui circa 91.000 soldati tedeschi fatti prigionieri dai sovietici, solo 6.000 sono tornati a casa.
Circa 61.000 militari della Germania nazista caduti in battaglia riposano nella regione di Volgograd, come qui, nel cimitero militare di Rossoschka.
Lo scorso anno, più di mille cadaveri di soldati sono stati scoperti sul posto. Quest’anno, un’altra fossa comune dovrebbe essere aperta, secondo quando dichiarato da Peter Lindau. «Pensiamo che nel corso del tempo potremo recuperare dal 30 al 40 per cento dei cadaveri», ha affermato. I documenti dell’esercito tedesco sulle tombe dei soldati caduti sono spesso incompleti e rendono difficili le ricerche, ma le scoperte fortuite sono al contrario numerose. Così come le indicazioni fornite dagli anziani abitanti della regione.
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