Cinema Al FIFF anche un corto del ticinese Janush Lucchini

sifo, ats

27.3.2023 - 11:32

Una scena del cortometraggio "L'odó det rèsa" di Janush Lucchini.
Una scena del cortometraggio "L'odó det rèsa" di Janush Lucchini.
Keystone

Fra i film presentati in prima mondiale al Festival international du film de Fribourg (FIFF), conclusosi ieri, c'è anche il cortometraggio «L'odó det rèsa» del giovane regista ticinese Janush Lucchini. Per l'occasione, Keystone-ATS lo ha incontrato.

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27.3.2023 - 11:32

Il cortometraggio segue due amici d'infanzia in montagna, nel corso dell'escursione i due giovani, Lino, «il montanaro» e Loïc, «il cittadino» si scontrano in vari momenti capendo di essere cambiati, spiega il regista Janush Lucchini in un'intervista a Keystone-ATS. Il film è il lavoro che Janush, classe 1999, nato e cresciuto a Faido, ha effettuato per il suo diploma in regia al Conservatorio internazionale di scienze audiovisive (CISA) di Locarno.

I due giocano a più riprese con la morte – quando si imbattono in una carcassa di un camoscio e quando Loïc che si finge morto in seguito ad uno spintone. Soltanto di fronte alla morte, quella vera, di cui sono testimoni alla fine del film rimangono senza parole.

Dialetto e italiano

Il titolo del cortometraggio «L'odó det rèsa», in dialetto biaschese, in italiano è «L'essenza della resina». La frase è tratta da un libro di poesie della leventinese Alina Borioli, spiega Janush, e fa riferimento anche ai suoi stessi ricordi delle estati passate nella cascina di montagna sopra a Carì, in Leventina.

Un'immagine questa con la quale si apre anche il film, con Lino che stacca un pezzo di resina dall'albero per farne una gomma da masticare. Un gesto che simboleggia anche il suo legame con la natura, dice Janush.

Partito da una sceneggiatura iniziale in italiano, il film è poi evoluto diventando per metà in dialetto e per metà in italiano. Lino parla in dialetto mentre Loïc in italiano. «Durante le riprese parlavamo tutti e tre in dialetto», spiega Janush, il che rendeva impossibile differenziare i due personaggi.

Per questo poi si è deciso di far parlare Loïc in italiano, «è stata la cosa più difficile per lui». I due personaggi, uno più cittadino l'altro più montanaro, «sono due parti che convivono un po' dentro di me», dice il regista.

Filmare la natura

Questo cortometraggio «è nato dalla mia passione per la montagna e per i luoghi in cui sono cresciuto», spiega Janush. «Per me era importante portare quello che sentivo che mi apparteneva, anche il territorio».

«ll tutto fondamentalmente è partito da lì e da una riflessione che ho cominciato a fare con un documentario precedente su ciò che significa filmare la natura rispetto al filmare l'essere umano», dice. Da questo spunto riflessivo Janush ha poi sviluppato la storia, ispirandosi anche alla letteratura che lo interessa, «come Raymond Carver, scrittore americano del Novecento che racconta storie di umanità in una maniera molto semplice ma estremamente efficace», spiega.

Il film si conclude con una riflessione di Janush, «Rifiutiamo la morte perché crediamo che il senso della natura sia quello degli uomini». Questa frase «riassume un po' il mio pensiero su come raffigurare la natura e l'umano», spiega. «La morte per la natura fa parte di un ciclo, mentre per l'essere umano è la fine», precisa.

Sul piano estetico, mentre in gran parte del cortometraggio si è focalizzati sui primi piani dei due attori, «nei momenti in cui la morte entra in gioco i piani si allargano», dice il regista. Alla fine, «i due personaggi diventano delle piccole macchioline» e «vengono catapultati nella realtà».

Attori non professionisti

«Durante le riprese non ho lavorato con la sceneggiatura», dice Janush. «Quello che mi interessava era trovare una sorta di verità nei personaggi, e per fare questo ho voluto lavorare con attori non professionisti che non hanno mai letto la sceneggiatura», spiega il giovane regista. I discorsi fra i due protagonisti si sono creati man mano.

«È stato un lavoro abbastanza lungo», le riprese sono durate un paio di mesi, «appena potevamo andavamo in montagna per creare una scena dopo l'altra». «Spesso si partiva dall'improvvisazione o da elementi iniziali» dati a soltanto uno degli attori, dice. «Mi interessava andare a cercare i personaggi nella realtà», precisa. «Il tournage è invece durato cinque giorni», dice.

Janush è molto affascinato dal lavoro del regista italiano Roberto Minervini che fa «recitare in modo molto naturale attraverso molta improvvisazione», un procedimento che richiede però parecchio tempo. Un altro cineasta italiano Michelangelo Frammartino, è stato il tutor di regia di Janush, con il quale ha elaborato la parte quasi documentaristica del film, «tutto quello che Minervini fa mentre gira, noi lo abbiamo costruito prima». Partendo dalle piccole cose quali far camminare i personaggi, spiega Janush.

«Abbiamo lavorato spesso con i piani sequenza proprio per aiutare i due attori ad entrare nella scena», dice. Durante il montaggio «abbiamo preso questi piani sequenza per poi frammentarli per creare tutta la storia», precisa. «Sarebbe bello se un giorno riuscissi a svilupparlo in un lungometraggio», afferma sorridendo.

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