Berlino: Favolacce, la rabbia dietro l'ignoranza
D'Innocenzo, ecco la nostra favola dark che ci racconta
BERLINO, 25 FEB – Per i fratelli D'Innocenzo con 'La terra dell'abbondanza' è finita la verginità felice dell'esordio e così con 'Favolacce', loro secondo film in concorso a Berlino, esce fuori, oltre la loro anima autenticamente pasoliniana, la cinefilia. In poco meno di due ore si assiste a una poliedrica esibizione di stili e generi, da Wes Anderson a David Lynch, da Gus Van Sant ad Antonioni fino a Caligari, il tutto shakerato a dovere. «Cos'è il nostro film? Un 'American Beauty' senza 'American' e senza beauty. Così lo abbiamo presentato ai produttori per far capire cosa era il nostro progetto» dicono a Berlino. Con 'Favolacce', molto bene accolto con applausi stamani alla prima stampa e in sala dal 16 aprile con Vision, al di là dello stile eclettico e citazionista, i due registi hanno saputo raccontare perfettamente l'ambiente dove si generano quelle improvvise tragedie oggetto di cronaca nera e frutto di una povertà più culturale che economica. Siamo infatti nelle periferie residenziali più isolate di Roma, luoghi in cui la povertà non c'è davvero, ma in cui la vita scorre piatta, luoghi abitati da personaggi che si sentono allo stesso tempo degli arrivati e dei perdenti. Sono degli ignoranti, degli eterni secondi, perfetti per le 'Favolacce' di questo film. È il caso di Bruno (Elio Germano) e Dalila (Barbara Chichiarelli) che crescono i loro figli preadolescenti, Denis e Ale, nella apparente quiete di un conglomerato di villette a schiera dove sono un po' tutti come loro. Una coppia amica di tutti tanto che la loro piscina gonfiabile, l'unica che si possono permettere, diventa un punto di incontro del quartiere, ma la loro anima di adulti resta sterile, infantile, incapace anche solo di pensare a un valore qualsiasi da trasmettere ai loro figli. «Il nostro film è una favola dark tra Italo Calvino e Gianni Rodari – dicono Damiano e Fabio D'Innocenzo in un conferenza stampa davvero piena anche di stampa estera – . È un film che dovevamo fare il prima possibile perché in qualche modo parla della nostra infanzia ed era importante per noi poter risalire, prima di dimenticare tutto, a come noi adolescenti vedevamo il mondo». (ANSA).
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