Il comico tira le sommeClaudio Bisio: «Devo tutto a Gabriele Salvatores»
Covermedia
17.10.2022 - 13:01
Il regista italiano ha sdoganato l’attore sia al cinema che a teatro: «Un secchione pazzesco che si circonda di fancazzi*ti come me».
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17.10.2022, 13:01
17.10.2022, 13:14
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Claudio Bisio tira le somme di una carriera costellata di successi. Il merito va a Gabriele Salvatores, che ha sdoganato il comico al cinema e sui palchi del teatro.
«(Salvatores è, ndr) Un secchione pazzesco; uno che studia, guarda, vede, legge come un matto. Un atteggiamento che stupisce rispetto alla sua apparente leggerezza, al fancazzismo che sembra attraversarlo. Le prove con lui si trasformavano sempre in una partita di calcetto; non a caso si circonda di gente come me, Abatantuono, Paolo Rossi: un gruppo di cazzoni», racconta Bisio al Corriere della Sera parlando del regista italiano, prima di ricordare alcuni aneddoti del film «Mediterraneo», che gli è valso l’Oscar.
«Eravamo su un’isola allora sconosciuta, c’era il cartello con la scritta «Qui inizia l’Europa», eravamo isolati da tutto. Era l’anno del Mondiale di calcio, Italia 90, e non c’era nemmeno un televisore. Si figuri: io, Abatantuono e Salvatores senza televisore durante i Mondiali. Abbiamo fatto una colletta e mandato uno a Rodi – otto ore di traghetto – per compare un televisore in bianco e nero. Vedevamo le partite spostando ogni cinque minuti a mano l’antenna. Per me non esiste Schillaci, io lo chiamo ancora Schillazzi perché sentivamo il commento in greco».
Un successo assoluto quello di Bisio che, al cinema, ha fatto centro anche con «Benvenuti al Sud»; a teatro ha spopolato con i Comedians di Salvatores e con i monologhi di Pennac. Ascolti record anche in tv grazie ai tre cult: Zelig, Mai dire gol, Le Iene.
Tuttavia gli esordi non sono sempre stati facili. «Mi ricordo che quando facevo il cabaret – adesso lo chiamano stand-up, ma sempre quello è – confrontandomi sempre con Paolo Rossi teorizzavo l’idea che quando fai cabaret a differenza del teatro devi andare senza testo, senza rete: devi solo improvvisare. Lo teorizzavo ed ero così folle da metterlo in pratica. Ne venivano fuori serate stupende, strepitose (me lo dico da solo), ma altre drammatiche, disastrose dove avrei voluto solo schiacciare un bottone e scomparire. Poteva essere il Derby, o lo Zelig (il locale), erano gli Anni 80. Vedi salire sul palco un pelatino sconosciuto: se non ti fa ridere è un disastro. Dopo un paio di serate veramente storte ho cambiato idea: almeno una traccia, un inizio e una fine li devi avere, poi in mezzo puoi anche improvvisare, ma con il paracadute. Ho capito che l’improvvisazione è una digressione su qualcosa che sai dove va a parare».