Non solo per l'avorio Il film «Stealing Giants» denuncia la vasta rete di traffico di elefanti

sifo, ats

9.10.2024 - 14:30

Un'immagine tratta dal documentario "Stealing Giants" di Karl Ammann e Laurin Merz.
Un'immagine tratta dal documentario "Stealing Giants" di Karl Ammann e Laurin Merz.
Keystone

Il documentario «Stealing Giants» dell'attivista animalista svizzero Karl Ammann e del regista elvetico Laurin Merz, presentato in anteprima allo Zurich Film Festival (ZFF), denuncia una vasta rete di traffico di elefanti. Keystone-ATS ha intervistato i due registi.

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Keystone-SDA, sifo, ats

I pachidermi, principalmente provenienti dal Laos, vengono esportati illegalmente in Cina, in parchi dove sono destinati ad esibirsi ed essere oggetto di divertimento per i turisti cinesi. Si tratta di strutture non volte alla conservazione della specie ma unicamente al profitto, che è molto lauto, denuncia il documentario.

Traffico di animali

Tutto ciò sotto gli occhi della «Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione» (CITES), parte delle attività ONU con sede a Ginevra, che però, almeno all'inizio, non fa nulla. Gli elefanti sono una delle specie protette dalla CITES e possono venire esportati legalmente solo se approvato da quest'ultima.

Karl Ammann e Laurin Merz hanno già collaborato a un altro documentario: «The Tiger Mafia» (2021), che denunciava l'allevamento illegale di tigri, sempre in Laos, per prelevarne parti del corpo utilizzate per prodotti farmaceutici e gioielli nell'industria clandestina cinese. Le ricerche per il film sono durate nove anni, più o meno come per «Stealing Giants».

«Nel contesto di quel film siamo venuti a contatto con parchi dove ci sono elefanti nonché con trafficanti di animali. Abbiamo così scoperto che c'era anche un traffico di elefanti vivi che doveva essere vietato dalla CITES», spiega Ammann in un'intervista a Keystone-ATS. «Non ero a conoscenza di questo traffico ma piuttosto del commercio di avorio», dice.

Contrasti

Il documentario si apre con un'incursione in Kenya, dove Ammann risiede da ormai 40 anni a contatto con gli elefanti e numerose altre specie. I pachidermi vengono mostrati nel loro habitat naturale dove possono correre liberi in branco.

L'altra faccia della medaglia si trova in Laos: a Boten, una sorta di Las Vegas dove tutto è permesso al confine con la Cina, e principalmente appartenente a quest'ultima. È la porta d'entrata e d'uscita per un traffico di elefanti vivi che ha raggiunto proporzioni enormi. I pachidermi vengono fatti varcare il confine a piedi attraverso un sentiero. Il Laos, anticamente noto come «Paese di un milione di elefanti», ne conta oggi soltanto 300 nella natura e altrettanti in cattività.

«Volevamo mostrare che il contrasto non è bello quando poi vediamo gli elefanti in cattività», spiega Laurin Merz, che è anche produttore della pellicola. «In questi due documentari, Karl si è occupato delle ricerche e io della regia», dice.

Alcune delle scene sono state filmate di nascosto. I due registi hanno visitato i Paesi con un visto da turisti senza identificarsi come giornalisti. Eravamo lì illegalmente, spiega Ammann. «All'Ufficio immigrazione possono creare problemi a causa di ciò. Questo è il rischio più grande», dice.

Offerta e domanda

«Finché c'è domanda, c'è offerta». È una delle frasi che Ammann pronuncia nel documentario, spiegando che finché c'è richiesta di elefanti per i vari parchi questi verranno esportati, anche illegalmente.

È un vero e proprio business: un elefante in cattività viene venduto a 50'000 dollari in Laos, mentre la Cina a sua volta fa pagare il cliente finale fino a mezzo milione per un esemplare. In questo ambito la corruzione gioca un grande ruolo, denuncia l'animalista, questo include ad esempio falsi permessi CITES.

«Abbiamo scoperto che c'era un traffico illegale di elefanti anche dall'Africa», spiega Ammann, «volevamo mostrare un quadro più ampio». Nel documentario si parla infatti anche di 22 elefanti selvatici trasportati via aereo cargo dalla Namibia agli Emirati Arabi Uniti.

Lieto fine

In parte anche grazie alle prove raccolte dai due svizzeri, il Laos ha potuto essere tolto dalla lista di Paesi appartenenti alla CITES. «Il Laos era nel mirino da un po' di tempo, perché attivo in diverse attività illegali concernenti specie appartenenti alla CITES», precisa Ammann.

«Penso che le prove che abbiamo fornito riguardo al traffico verso la Cina sia stato il fattore decisivo. Anche se ovviamente la Cina ha smentito di aver fatto qualcosa di illegale», spiega l'animalista. Di conseguenza il traffico di elefanti si è interrotto; anche la Cina ha posto fine alle richieste in questo senso, spiega Ammann.

I due registi sono inoltre riusciti a salvare due elefanti che si trovavano a Boten, in Laos, in attesa di essere esportati in uno zoo cinese. Hanno trovato i soldi per comperarli e poi portarli in un parco sicuro, «dove ora vivono una bella vita con altri simili nella foresta», dice Ammann. «Con questi documentari vogliamo che la gente sappia cosa succede». In programma ora ci sarebbe un film sul traffico di primati.

Alla volta dei festival

Dopo la prima mondiale a Zurigo di domenica scorsa, «Stealing Giants» verrà proiettato ancora questa sera e sabato pomeriggio nel quadro dello ZFF. Partirà poi alla volta di Bristol la settimana prossima al Wildscreen Festival, patrocinato dal celebre naturalista britannico e divulgatore scientifico Sir David Attenborough, oggi 98enne.

«Siamo molto onorati che il film venga mostrato in questo festival, che è molto esigente nella sua selezione: da 2000 film pervenuti ne vengono scelti solo 36», afferma Merz. «Speriamo che il film prenda il volo», aggiunge.

La pellicola tornerà in Svizzera nell'ambito del sesto Global Science Film Festival dove verrà presentata il 9 novembre a Basilea e l'indomani al Filmpodium di Zurigo.