Premio d'onore a Nyon Marco Bellocchio: «La realtà mi affascina, ma non è sufficiente»

sifo, ats

12.4.2022 - 13:45

Il regista, sceneggiatore e produttore italiano Marco Bellocchio si è visto conferire ieri sera il Premio d'onore alla 53esima edizione del Festival del cinema Visions du Réel di Nyon (VD). Per l'occasione Keystone-ATS lo ha incontrato.

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L'82enne regista è ospite d'onore di Visions du Réel, dove è stato presentato ieri sera in prima svizzera il suo ultimo documentario «Marx può aspettare» (2021) e dove questo pomeriggio darà una masterclass.

Fra finzione e documentario

Nella laudatio, Marco Müller, già direttore della Mostra di Venezia e del Locarno Film Festival, in collegamento video da Shanghai ha affermato che questo premio è «particolarmente importante perché riconosce l'equilibrio precario tra finzione e documentario», ha indicato il festival in una nota.

Keystone-ATS ha chiesto al regista Marco Bellocchio, in un colloquio a Nyon (VD) cosa potesse dire a questo proposito. «Ho avuto molti premi alla carriera il che per me significano solo una cosa: quello che io faccio spesso non è capito subito e un apprezzamento arriva con il tempo», afferma Bellocchio.

Il cinema di Bellocchio infatti è anticonformista a partire dal suo esordio con «Pugni in tasca» (1965), premiato lo stesso anno al Locarno Film Festival con l'allora Vela d'argento. Bellocchio nella sua lunga carriera si è occupato sia di film di finzione sia di documentari. Afferma di non prediligere nessuno dei due, ma di impiegare l'uno o l'altro «a seconda del progetto».

«È come se la realtà diretta mi affascinasse ma non fosse sufficiente per cui varie volte, e in modo più accentuato negli ultimi anni, c'è questo tentativo di mescolare materiale cosiddetto di repertorio con le immagini che giro io», spiega Bellocchio, dicendo che lì trova «una sintesi e uno stile». Cita poi gli esempi di «Buongiorno, notte» (2003), «Vincere» (2009) e «Marx può aspettare». «Nella mia pratica l'obiettivo è riconnettermi con le immagini del passato», afferma Bellocchio.

Una tragedia familiare

«Marx può aspettare» tratta del suicidio del fratello gemello avvenuto nel 1968. Il regista il 16 dicembre 2016 raduna i fratelli e le sorelle Bellocchio ancora in vita, è con queste immagini che si apre il film. «Da lì tutta la mia attenzione si è concentrata su quel convitato assente» spiega Bellocchio.

«Il percorso del film è di cercare di capire, di scoprire qualcosa di più di quanto io non avessi fatto fino ad allora», afferma Bellocchio. «Io poi sono stato sempre il più piccolo della famiglia però adesso anch'io ho una certa età», prosegue ridendo.

«C'è stata da parte dei miei fratelli una grande generosità e una grande sincerità, ed è su quest'ultima che è costruito il film», afferma il regista. «La cosa che mi ha commosso, che mi ha coinvolto, è che pur parlando di una vicenda assolutamente personale ho trovato delle risposte molto forti e molto emotive da un pubblico lontano dalla mia storia», spiega Bellocchio, «perché molti ritrovano una serie di tormenti, di angosce e di infelicità che è molto comune all'istituto della famiglia».

Bellocchio afferma di non aver fatto questo film come una terapia tuttavia dice «certamente mi ha smosso, mi ha svelato qualcosa che avevo sempre guardato un po' da lontano o attraverso esperienze di altri o di personaggi che avevo immaginato». Nel film oltre ai fratelli e alle sorelle di Bellocchio ci sono anche i due figli Pier Giorgio e Elena, «la vicenda continua e cammina anche nelle domande che loro mi fanno durante il film», spiega il regista.

Montaggio e testimonianze

In «Marx può aspettare» ci sono parecchie scene tratte da film precedenti di Bellocchio, anch'esse legate alle dinamiche familiari. A questo proposito il regista afferma che nel corso del montaggio, durato parecchio, «poco alla volta mi sono ricordato di questo o quel film che poteva in qualche modo fare fusione e rappresentazione rispetto a quello che stavamo raccontando».

Bellocchio cita come aspetto caratteristico di questa pellicola il fatto che «le testimonianze dei protagonisti fossero sufficienti». «La loro voce era più forte di quanto io avrei potuto fare se avessi messo in scena gli episodi, per esempio la morte di mio fratello», spiega il regista.

«La palestra dove è avvenuta la tragedia non c'è più, ne abbiamo ricostruita una molto simile in cui io ho letto questa lettera che Camillo mi aveva mandato e di cui mi ero 'dimenticato'», afferma Bellocchio. Quella che lui stesso definisce come «una povertà di sensibilità». «Dietro quel messaggio c'era una grande richiesta di aiuto», dice.

Il regista, nato a Bobbio, in provincia di Piacenza nel 1939 afferma che «i momenti a Bobbio sono stati fonte d'ispirazione». «Nel cinema tu immagini e cerchi di rappresentare quella che in parte è stata la tua vita, in modo molto complesso e indiretto», spiega il regista. «Certi ritorni come per 'Marx può aspettare' ti restituiscono qualcosa di profondamente vero», prosegue.

Bellocchio ha recentemente completato la serie tv «Esterno notte» che riguarda il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro e sta attualmente preparando «un film sul famoso rapimento di un piccolo bambino ebreo nell'800, obbligato a diventare cristiano, il caso Mortara», spiega.