Se il calcio fornisce accesso ad altre attività sociali e reti di contatto che travalicano il quadro dell'associazione sportiva, secondo uno studio dell'università di Berna, la situazione risulta differente per le donne immigrate, che più raramente giocano al pallone.
Lo rileva uno studio dell'università di Berna basato sui dati raccolti presso una quarantina di associazioni calcistiche, che in complesso contano oltre 1800 membri.
In generale si constata una forte integrazione sociale di tutti i membri dei club, indipendentemente dall'aspetto migratorio. I calciatori conoscono bene le norme e le abitudini fondamentali delle associazioni e si identificano alla squadra. Il coinvolgimento nei processi politici di club, invece, è meno pronunciato, precisa l'Associazione svizzera di football (ASF) che ha presentato lo studio oggi con una conferenza stampa a Berna.
La capacità linguistiche dei giocatori, la storia del club e la convivialità nella squadra sono elementi essenziali per l'integrazione. È infatti in questo quadro che si creano numerose relazioni sociali, ben oltre l'ambiente del club stesso.
Molte persone interpellate hanno riferito di partecipare regolarmente a varie attività conviviali, quali il riunirsi dopo gli allenamenti o il partecipare ad attività della squadra anche fuori dal campo. Tutti elementi che, in un ambiente di gruppo disteso, contribuiscono ad una migliore integrazione sociale di tutti i membri. E questo processo funziona anche per le donne, benché molto meno portate ad indossare pantaloncini e scarpini, nota lo studio.
Le barriere linguistiche non sono ritenute un ostacolo alla partecipazione agli allenamenti, quanto piuttosto un impedimento per gli avvenimenti conviviali e lo scambio di idee. Molti affermano di aver migliorato le conoscenze della lingua aderendo all'associazione sportiva.
Tuttavia, le persone con un background migratorio sono meno a lungo membri del club e assumono meno spesso cariche onorifiche. Inoltre, sono molto più spesso vittime di discriminazioni all'interno dell'associazione. Lo riferisce un immigrato su dieci. Tali esperienze vanno di pari passo con una minore integrazione nell'associazione.
L'indagine rileva poi il ruolo centrale dell'allenatore nel gestire la diversità culturale e nel promuovere l'integrazione sociale. Di conseguenza sarebbe una buona idea avviare opportuni programmi di formazione per i responsabili dei club e gli allenatori delle squadre.
Lo studio ha compreso aspetti quantitativi e qualitativi, tenendo conto delle dichiarazioni dei principali funzionari e dei membri dei club, a prescindere dal passato migratorio. L'aspetto quantitativo si è basato sui dati raccolti presso 42 club di calcio di Svizzera tedesca e francese, per un totale di 145 squadre e 1839 membri. L'analisi qualitativa è stata effettuata con undici interviste di gruppi di discussione – che comprendevano 22 persone con passato migratorio – sull'integrazione nell'associazione sportiva e nella società. Sono inoltre stati condotti 18 studi di caso con 44 interviste di esperti sulla genesi e la messa in atto dell'integrazione nei club.