Oltre a un storico triplete Campionato-Coppa-Champions, una vittoria del Manchester City sull'Inter sabato in finale a Istanbul avrebbe una virtù: farebbe definitivamente tacere le poche critiche che ancora assalgono Pep Guardiola.
Ancora di più rispetto a due anni fa contro il Chelsea (0-1), il City sarà il grande favorito contro il terzo della Serie A, dopo aver dominato il Bayern Monaco ai quarti e il Real Madrid, detentore del titolo, in semifinale. Con le sue 11 vittorie in campionato in 14 stagioni con Barcellona, Bayern e poi i Citizens, il tecnico Pep Guardiola è ampiamente considerato come uno dei migliori allenatori della sua generazione, se non di tutti i tempi.
Ma i 12 anni trascorsi dal suo secondo e ultimo trionfo europeo sono un'ombra imbarazzante nel suo percorso, soprattutto considerando che le sue scelte tattiche sono state talvolta criticate durante le tre sconfitte consecutive con il Bayern nelle fasi finali di Champions, e durante i cinque anni che ha impiegato per superare i quarti con il City.
Sebbene abbia avuto momenti di incertezza in Champions League, la sua capacità di innovare, sorprendere, adattarsi è senza dubbio uno dei segreti della sua incredibile longevità ai massimi livelli. Durante i suoi sette anni alla guida del Manchester City, i Citizens hanno mostrato volti molto diversi. Prima con la squadra dalle ali scatenate Leroy Sané e Raheem Sterling e il «killer» Sergio Agüero in avanti. In seguito, quando gli infortuni di Agüero e il fallimento del trasferimento di Harry Kane nell'estate del 2021 hanno lasciato la squadra senza un centravanti, ha puntato su Bernardo Silva, Phil Foden e persino Ilkay Gündogan come «falso nove».
Cambiamento nella continuità
E se Erling Haaland, che ha colmato questa lacuna l'estate scorsa, fosse un giocatore agli antipodi del gioco pensato da Guardiola, i suoi 52 gol nella sua prima stagione in Inghilterra sono una nuova prova che l'intelligenza calcistica del catalano resta insuperabile. «Pep ti fa capire che il calcio è più semplice di quanto tu possa pensare», ha spiegato recentemente Fernandinho, ex capitano simbolo dei Citizens, in un'intervista con Alan Shearer apparsa sul sito «The Athletic».
«Ha il potere di convincerti, di dimostrarti quotidianamente durante gli allenamenti, le riunioni e soprattutto durante le partite, che tutto ciò di cui ti parla accadrà», ha continuato il brasiliano. «L'ho conosciuto quando avevo 30 anni, ho lavorato 7 anni con lui e mi ha aiutato a progredire tecnicamente, tatticamente e fisicamente. Il modo in cui vedo il calcio oggi, non l'avevo mai visto così prima di incontrarlo».
Si potrebbe comunque parlare di cambiamento nella continuità, dato che i principi sono chiari e le statistiche immutabili: il City è stata costantemente la squadra con il maggior possesso di palla, che effettua meno passaggi lunghi, subisce meno tiri e ha sempre avuto, o quasi, il miglior attacco e la miglior difesa del campionato inglese.
Vincere la Champions League è «inevitabile»
«Fondamentalmente, nulla è cambiato nel corso degli anni», ha affermato Guardiola la settimana scorsa in una conferenza stampa. «Non ricordo una partita in cui non ho detto ai miei giocatori di non pressare quando l'avversario ha il pallone, e non ricordo un giorno in cui non abbiamo cercato di costruire le nostre azioni nel miglior modo possibile. Le basi sono sempre state rigorosamente le stesse dal primo giorno a oggi», ha insistito.
Tutti questi trofei, tutte queste certezze però non peseranno molto al fischio d'inizio della finale di sabato sera. Conterà solo la vittoria. «Anche se non sono d'accordo, capisco che tutto ciò che abbiamo fatto nel corso degli anni - che è stato molto e molto buono - per gli altri avrà davvero senso solo se vinceremo questa competizione», ha ammesso in un'intervista rilasciata negli ultimi giorni sul sito dell'UEFA.
«Dobbiamo anche accettare che se vogliamo fare un passo decisivo per essere un grande club dobbiamo vincere la Champions League, è inevitabile», ha concluso l'ex allenatore di Bayern Monaco e Barcellona.