L'ospedale universitario vodese (CHUV) ha istituito un protocollo per la cura delle donne incinte esposte al vaiolo delle scimmie, un virus che può avere gravi conseguenze durante la gravidanza.
Keystone-SDA, nt, ats
22.06.2022, 13:40
22.06.2022, 13:56
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In particolare viene loro consigliato di non recarsi in Paesi in cui l'infezione circola ampiamente e di prendere gli stessi atteggiamenti di barriera contro il Covid.
Il reparto di maternità del CHUV, in collaborazione con altri esperti mondiali, ha messo a punto un protocollo sulle misure da prendere al fine di occuparsi il più rapidamente possibile delle donne incinte eventualmente esposte al virus.
La procedura, pubblicata oggi sulla rivista scientifica «The Lancet», spiega come esaminare una donna incinta, quale striscio effettuare, cosa fare se è stata a contatto con qualcuno infetto, quali farmaci o vaccinazioni sono necessari.
Le donne incinte sono più a rischio
Interpellato dall'Agenzia Keystone-ATS, David Baud, capo del servizio di ostetricia del dipartimento di maternità del CHUV, ricorda che le donne incinte sono nettamente più a rischio per tutti i tipi di infezione rispetto alle donne della stessa età ma non in stato di gravidanza.
«Ancora una volta, donna e feto sono da considerare come persone particolarmente vulnerabili e devono quindi essere protetti», insiste.
Ancora pochi dati
Visti gli effetti delle due precedenti pandemie di zika e di SARS-CoV-2, ci si pone delle domande quanto all'impatto di questo nuovo virus sulle gravidanze.
«I dati sono scarsi, ma purtroppo non rassicuranti», sottolinea il professore. «Nelle rare donne incinte infettate finora, il vaiolo delle scimmie ("monkeypox» in inglese) può indurre un aborto spontaneo o gravi malformazioni, come una sorta di varicella fetale», precisa David Baud.
Ora, aggiunge l'esperto, «questo pre-protocollo ci permetterà di occuparci efficacemente delle donne incinte esposte al rischio, di prevenire l'infezione e di rassicurarle il più rapidamente possibile».
Qualsiasi eruzione cutanea sospetta o contatto ravvicinato con una persona risultata positiva al test dovrebbe indurre la donna incinta a consultare un medico.
Essa deve evitare il contatto con le persone infette e i loro oggetti personali e seguire le stesse precauzioni usate per la pandemia di coronavirus.
Al di fuori dell'Africa, dove il virus del vaiolo delle scimmie circola nell'uomo dagli anni '70, sono finora stati registrati oltre 2100 casi in una quarantina di Paesi.
Se finora sembrava diffondersi solo dagli animali agli esseri umani, ora sembra espandersi in modo preoccupante tra gli esseri umani e al di fuori del continente africano.
In Svizzera dal 21 maggio ad oggi sono stati rilevati 41 casi. La maggior parte delle infezioni attuali non riguarda persone che hanno viaggiato o sono state in contatto con viaggiatori, rileva David Baud.
Scoperto nel 1958
Il virus in questione è stato scoperto per la prima volta nel 1958, quando si sono verificati due focolai di una malattia simile al vaiolo in colonie di scimmie allevate per la ricerca, da cui il nome «vaiolo delle scimmie».
Il primo caso umano è stato registrato nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo. L'infezione non ha niente a che fare con il vaiolo umano, molto più grave, sradicato nel mondo nel 1980, ne condivide soltanto la «famiglia».
In seguito il vaiolo delle scimmie è stato segnalato negli esseri umani in altri Paesi dell'Africa centrale e occidentale. I casi che si sono verificati al di fuori del continente africano erano legati a viaggi internazionali o ad animali importati.
Ma ora la situazione è diversa. Dopo le infezioni segnalate a partire dall'inizio di maggio in alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha iniziato a monitorare la situazione in rapida evoluzione.