Giustizia Il regime riduce di 6 anni la condanna a San Suu Kyi

SDA

1.8.2023 - 19:16

Sei anni di carcere in meno, che per una donna di 78 anni rimane di fatto un ergastolo: Aung San Suu Kyi ha ricevuto oggi una grazia parziale dalla giunta militare che l'ha deposta con un golpe nel febbraio 2021, tenendola da allora prigioniera in un'interminabile serie di processi farseschi con il chiaro intento di eliminarla politicamente.

L'ex leader birmana Aung San Suu Kyi
L'ex leader birmana Aung San Suu Kyi
KEYSTONE/AP/PETER DEJONG

Keystone-SDA

Se si tratta di una beffa dei militari o di un passo preliminare per un dialogo, lo dirà il tempo. La situazione in Birmania, dove ieri il regime ha esteso di altri sei mesi lo stato di emergenza, rimane comunque drammatica.

La «Signora», che ha guidato il Paese dal 2015 per oltre cinque anni, è stata graziata nell'ambito di un'amnistia che i militari hanno concesso a oltre 7700 prigionieri in occasione della Quaresima buddista.

Ma per Suu Kyi è un perdono che riguarda solo cinque dei 19 reati per i quali è stata condannata, tra cui la sedizione, la violazione delle restrizioni per il Covid, e il possesso illegale di walkie-talkie.

Per gli altri 14 procedimenti, in attesa dei processi d'appello, rimangono 27 anni da scontare. Anche l'ex presidente birmano Win Myint (71 anni), un fedele di Suu Kyi, potrà contare su una grazia parziale che ridurrà la sua reclusione, senza però che la sostanza cambi.

I militari cercano il dialogo?

La decisione della giunta arriva pochi giorni dopo il trasferimento di Suu Kyi dall'isolamento in carcere a un edificio governativo nella capitale Naypyidaw.

Messe insieme, e considerando anche il permesso al ministro degli esteri thailandese Don Pramudwinai di intrattenersi un'ora e mezza con il premio Nobel per la Pace tre settimane fa, le mosse sembrerebbero segnalare una volontà di dialogo da parte dei militari.

Ma poco fa pensare che il pugno di ferro si stia allentando: proprio lunedì, come ogni sei mesi dal golpe con cui prese il potere, la giunta ha esteso lo stato di emergenza che legittima il suo controllo assoluto sul Paese. La motivazione ufficiale è che serve ancora tempo per riportare la normalità e preparare il terreno per nuove elezioni, in un orizzonte temporale che è chiaro solo ai generali.

La guerra civile continua

Nel frattempo la guerra civile tra l'esercito e le «Forze di difesa del popolo» costituite dagli attivisti pro-democrazia (considerati «terroristi» dal regime) continua, in un conflitto costato quasi 4.000 vittime civili.

Oltre 24.000 persone sono state arrestate; non è chiaro se oggi siano stati graziati anche parte di questi prigionieri politici, ma in passato queste amnistie di massa hanno riguardato più che altro detenuti per reati comuni.

L'economia del Paese, senza turismo e investitori stranieri, è in ginocchio. Ma Min Aung Hlaing, sostenuto dalla Cina e leader di un esercito che si reputa indispensabile per l'unita del Paese, non mostra nessuna intenzione di voler lasciare il potere.

E per avviare una vera distensione, servirà ben più che una grazia parziale alla leader amata da gran parte della popolazione.