Nel carcere iraniano di Evin «Torture e abusi per farmi fare false confessioni»

gbi

22.1.2023

Alcune donne iraniane nascondono il viso all'interno di una cella nella sezione femminile della prigione di Evin, a nord di Teheran (foto d'archivio).
Alcune donne iraniane nascondono il viso all'interno di una cella nella sezione femminile della prigione di Evin, a nord di Teheran (foto d'archivio).
KEYSTONE

I prigionieri in Iran vengono torturati per costringerli a fare delle «confessioni», che hanno reali conseguenze. Un'attivista imprigionata racconta la vita quotidiana nella temuta prigione di Evin.

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22.1.2023

La prigione di Evin è tanto famosa quanto avvolta nel mistero. Ciò che sta accadendo dietro quelle spesse mura alimenta ogni tipo di speculazione. Un'attivista qui imprigionata dipinge uno spaccato sulle pratiche del carcere più temuto dell'Iran.

L'edificio, messo in funzione nel 1971 sotto lo Shah Mohammad Reza Pahlavi amico degli Stati Uniti, è la più grande prigione per detenuti politici nella Repubblica islamica.

A causa delle proteste di massa contro il regime dei mullah in corso dal settembre 2022, lo spazio disponibile si sta esaurendo. Un'ala dell'edificio, che prima era a disposizione dei prigionieri per lo studio, è stata trasformata in una «stanza per torture e interrogatori», scrive Sepideh Qolian.

La stanza è «piena di ragazze e ragazzi», «si sentono urla», riferisce Qolian in una lettera citata in dettaglio dalla BBC britannica. Ai detenuti vengono estorte con la forza false confessioni, che vengono poi trasmesse dalla televisione di Stato. Quattro partecipanti alla recente ondata di proteste sono stati impiccati dopo tali false confessioni.

«Trema e implora»

Qolian descrive un incidente a cui ha assistito il 28 dicembre. Durante una giornata gelida in cui nevicava, ha visto all'uscita dell'edificio un giovane prigioniero seduto «con gli occhi bendati e con indosso solo una maglietta grigia». Un sorvegliante assillava il ragazzo.

«Trema e implora: "Giuro su Dio che non ho picchiato nessuno". Vogliono che confessi. Mentre gli passo davanti, gli grido: "Non confessare nulla" e "morte a voi tiranni"».

Qolian sta scontando nella prigione di Evin una condanna di cinque anni, dal 2018, per presunto sostegno a uno sciopero, visto come una minaccia alla sicurezza nazionale. in carcere può proseguire gli studi di legge, ma anche lei ha vissuto la tortura sul proprio corpo.

Dopo essere stata ripetutamente interrogata da diversi uomini, inizialmente si è sentita sollevata nello scoprire che aveva a che fare con una guardia donna. «Almeno non mi abuserà sessualmente», ha pensato. Dal sollievo alla paura è stato un attimo.

«Ha calpestato una gamba del tavolo e ha urlato: "Tu puttana comunista, con chi sei andata a letto?!"», riferisce Qolian. Avrebbe dovuto elencare tutti i suoi presunti partner sessuali davanti alla telecamera, ma ha rifiutato. Quando finalmente le è stato permesso di andare in bagno, dopo ore di interrogatorio, è stata rinchiusa lì senza ulteriori indugi.

Ovviamente la tortura continuava proprio accanto a lei: poteva sentire un uomo che veniva frustato. Per ore, forse tutto il giorno: ha perso la cognizione del tempo.

Cimici nei letti, cibo avariato e percosse infinite

Lo scrittore iraniano Amir Hassan Cheheltan scrive in un articolo per la NZZ che la tortura ha una triste tradizione nel carcere di Evin. Si riferisce alle descrizioni degli ex prigionieri fuggiti dalla «prigione dell'orrore». «I detenuti sono tormentati dalle cimici, scarafaggi e topi giganti e mangiano cibo avariato», dice.

L'isolamento come tortura psicologica è all'ordine del giorno, «le continue percosse hanno lo scopo di spezzare la volontà dei prigionieri». Le urla risuonano costantemente nei corridoi. Le guardie intimidirebbero anche i detenuti con minacce di morte, rivolte anche alle loro famiglie. E i video delle telecamere di sorveglianza, che gli hacker hanno reso pubblici nel 2021, testimoniano questi abusi.

Il grido per la libertà arriva fino nelle celle

Quando Qolian è stata finalmente fatta uscire dal gabinetto, è stata trascinata di nuovo davanti alla telecamera, esausta per i numerosi interrogatori notturni. Stordita, ha letto il biglietto con la presunta confessione. I sorveglianti finalmente avevano ciò che volevano. Il risultato: cinque anni di reclusione.

Almeno ora Qolian assiste a qualcosa di buono: «Nel quarto anno della mia prigionia, posso finalmente sentire i passi della liberazione da tutto l'Iran», si legge sulla BBC. «L'eco di "donne, vita, libertà" penetra anche attraverso le spesse mura della prigione di Evin».