Ticino Bagnovini sulle proteste dell'edilizia: «Non possiamo più aumentare prestazioni e salari»

Swisstxt / red

18.10.2022

Nicola Bagnovini (archivio).
Nicola Bagnovini (archivio).
Ti-Press / Elia Bianchi

Ieri, lunedì, i lavoratori dell'edilizia ticinese si sono mobilitati in vista dello scadere del contratto nazionale mantello. Per comprendere la posizione del padronato, la RSI ha intervistato Nicola Bagnovini, direttore della società degli impresari costruttori ticinesi (SSIC).

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Come ha reagito a vedere tutte quelle persone arrivare sotto la sede della SSIC?

«Un po’ di delusione c'è, perché il contratto nazionale mantello prevede il rispetto della pace assoluta sul lavoro, cosa che i sindacati non hanno rispettato con questa manifestazione. I lavoratori non sono contrari al contratto attuale, anzi sono felici delle prestazioni che hanno. Però chiaramente con quanto hanno raccontato, ingigantendo delle proposte della società impresari, posso capire che hanno avuto un seguito».

Come è stata la giornata di ieri sui cantieri? Loro parlano di un 80% di cantieri che non sono partiti proprio per via della mobilitazione...

«Quasi tutti i cantieri della pavimentazione sono stati bloccati, però ho sentito parecchie imprese che non hanno avuto nessun problema, soprattutto nelle zone periferiche. Ma questo nulla cambia. Io credo che non sia andando in piazza che si risolvono i problemi. Bisogna sedersi e valutare bene la situazione perché sarebbe bello poter concedere (compensazioni del, ndr.) carovita, aumenti e tutto quanto... Ma poi le imprese devono continuare a lavorare sul mercato e anche i committenti devono poter avere dei costi della costruzione ancora abbordabili. Già il costo della costruzione in Svizzera e piuttosto caro, quindi non possiamo più permetterci di aumentare oltremodo le prestazioni e i salari».

Andiamo un po’ nello specifico delle misure. Adesso c'è questo muro contro muro. Voi quali misure che chiedete?

«Noi chiediamo maggiore flessibilità nello spalmare le ore annuali che rimangono invariate durante l'anno nelle varie settimane, per far fronte in modo elegante anche ai ponti e a determinate situazioni molto particolari. I sindacati hanno tramutato questa proposta in un lavoro su chiamata. Non è assolutamente il caso. Nessuno è interessato a questo genere di attività, quindi il datore di lavoro pianificherà comunque con quattro-cinque settimane di anticipo il lavoro sui cantieri, perché le esigenze sono spesso poste dai committenti. Sempre più spesso succede di dover lavorare la sera, al sabato, proprio perché si interviene su una via di traffico, sulla ferrovia o sull'autostrada. Quindi le esigenze sono cambiate per poter permettere alla società di muoversi. E questo richiede una certa flessibilità».

Lei quanto vede possibile il fatto di arrivare a non rinnovare questo contratto collettivo?

«Saranno mesi non facili. È difficile dire adesso se ci sarà un vuoto contrattuale o no. Bisognerà avere un po’ di flessibilità da ambo le parti per trovare una posizione condivisa. E chiaro che l'atteggiamento e questi scioperi non aiutano, perché automaticamente la tensione al tavolo delle trattative aumenta e questo non è un buon segno. Il dialogo è sempre la via migliore per trovare una soluzione. Lo abbiamo dimostrato in decenni sul contratto cantonale a 60 anni, quindi si è sempre lottato e ognuno ha cercato di salvaguardare i propri interessi. Però alla fine si è travato una soluzione».