Caso India Caso India: il Cantone è favorevole alla permanenza in Ticino

Swisstxt

19.1.2022 - 15:07

Palazzo delle Orsoline/Immagine illustrativa.
Palazzo delle Orsoline/Immagine illustrativa.
Ti-Press/Archivio.

Le autorità cantonali ticinesi sono favorevoli alla richiesta della famiglia di India, che rischia il rimpatrio in Etiopia. L'ultima parola spetta ora però alla Confederazione.

Le autorità del Canton Ticino sostengono la famiglia di India, che rischia il rimpatrio forzato in Etiopia dopo il «no» definitivo alla domanda di asilo e alla domanda di apolidia.

Secondo le autorità cantonali i componenti della famiglia hanno infatti diritto al permesso di soggiorno come caso eccezionale dato che i figli di Munaja, che ha 50 anni, Nurhusien (24 anni) e India (19 anni) sono cresciuti in Svizzera, parlano la lingua, si sono integrati e si sono dati da fare per essere attivi nel limite delle possibilità loro concesse dalla legge che, per esempio, impedisce loro di lavorare.

Come riferisce il sito della RSI lo si è appreso nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella tarda mattina di mercoledì a Bellinzona.

La palla passa a Berna

Quello del Cantone, come sottolineato dalla caposezione della popolazione Silvia Gada, è comunque solo un preavviso. La parola finale spetta infatti alla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) che dovrà ora valutare la richiesta. Lo farà tenendo conto del preavviso ticinese, che, giova ricordare, non è comunque vincolata a seguire. Succede nella maggior parte dei casi, ma non sempre.

«La migrazione è un contesto complesso, il settore dell'asilo, in particolare. Negli ultimi giorni si è imposta la necessità di fare chiarezza», ha sottolineato il consigliere di Stato Norman Gobbi, aggiungendo che «non tutti i casi di rigore sono uguali» e che sono stati mescolati dati statistici tra situazioni diverse tra loro. «Si è mischiato il burro con la ferrovia» ha detto.

Un'attesa che dura 10 anni

India e la sua famiglia sono giunti in Ticino dalla fascia di confine tra Etiopia e Eritrea dieci anni fa e da allora attendono che la loro richiesta d'asilo venga accolta.

I due paesi africani non li riconoscono come loro cittadini: la famiglia è quindi apolide e senza documenti. Tuttavia, per la SEM, «sono da considerarsi etiopi e vanno rimpatriati, perché l’Etiopia è valutato essere un paese sicuro». Nel Paese è in corso però una guerra nella regione del Tigrai, ma la SEM e il Tribunale amministrativo federale non lo considerano un conflitto esteso.

Un'enorme mobilitazione

Il caso è tornato alla ribalta nelle ultime settimane, dopo una mobilitazione che ha coinvolto non poche personalità, tra cui un ex docente della ragazza, il vescovo di Lugano Valerio Lazzari e un gruppo di granconsiglieri capeggiato da Anna Biscossa (PS), i quali hanno depositato un'interrogazione e richiesto che venga applicato il «caso di rigore».

A questa si è aggiunta ieri, martedì, una risoluzione parlamentare urgente firmata da Giorgio Fonio, Sabrina Gendotti, Maddalena Ermotti-Lepori del PPD e da Maristella Polli (PLR) in cui si è chiesto di aprire un dibattito sul caso in occasione della prossima seduta plenaria.

Sabato 8 gennaio, inoltre, era apparso sul Corriere del Ticino un appello a pagamento della «Fondazione azione posti liberi» rivolto, tra gli altri, anche al consigliere federale Ignazio Cassis, attuale presidente della Confederazione nonché capo del Dipartimento federale degli Affari esteri e al consigliere di Stato ticinese Raffaele De Rosa, responsabile del Dipartimento della sanità e della socialità.