Dal confine Strage di Samarate, condannato all'ergastolo il padre-killer

SDA

21.7.2023 - 19:00

Immagine illustrativa/foto d'archivio.
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KEYSTONE

In cella fino alla fine dei suoi giorni e un anno e mezzo di isolamento diurno. Questa la condanna decisa dalla Corte d'Assise di Busto Arsizio (Varese) per Alessandro Maja, 57enne interior designer che nella notte tra il 3 e il 4 maggio 2022 ha ucciso la figlia Giulia di 16 anni e la moglie Stefania Pivetta, 56enne, aggredite a colpi di martello mentre stavano dormendo, per poi scatenare la sua furia anche sul figlio maggiore Nicolò, 21 anni, miracolosamente sopravvissuto.

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Il Tribunale ha così accolto la richiesta della pm Martina Melita, dopo una camera di consiglio durata cinque ore, rigettando la tesi della difesa secondo cui Maja sarebbe affetto da vizio parziale di mente.

Alla lettura della sentenza il figlio Nicolò, che ha seguito quasi tutte le udienze del processo, per la prima volta in piedi e senza la carrozzina alla quale è stato legato per mesi dopo aver riportato gravi traumi e un'invalidità all'80%, ha ascoltato le parole della Corte in silenzio, con indosso la maglietta con la foto della madre e della sorella, dalla quale non si separa mai in aula.

«Mi ha guardato», ha detto il 21enne appena fuori dall'aula, «io ho tirato la maglia, per mostrargliela, lui ha mandato un bacio», anche se «non so se era per me o per mamma».

Finalmente «liberato», come si è definito lui stesso, Nicolò ha definito la sentenza «giusta, il minimo», per quanto commesso da suo padre, e ha affermato di non essere disposto a «perdonare mai», nonostante creda in un suo pentimento, che però «non sarà mai abbastanza».

«Li ho uccisi tutti, bastardi».

Si è chiuso così il primo capitolo di una vicenda difficile e dolorosa, con al centro l'agire criminale di un uomo che, apparentemente senza un movente, in una notte di primavera ha scelto di uccidere tutta la sua famiglia.

Alle tre del mattino del 4 maggio di un anno fa Alessandro Maja ha impugnato un martello e dal piano terra dove riposava è salito al primo piano della villetta di famiglia a Samarate, è entrato in camera della moglie e l'ha colpita ripetutamente alla testa, uccidendola. Poi si è diretto in camera della figlia, riservandole la medesima sorte.

Infine è entrato in camera di Nicolò, che di quella tremenda notte non ricorda praticamente nulla, e ha colpito il figlio alla testa, numerose volte. Infine è uscito sul balcone, coperto di sangue e ha gridato «li ho uccisi tutti, bastardi».

Inizialmente gli investigatori avevano ipotizzato una possibile fine del matrimonio, poi sconfessata, come movente della strage familiare, per poi concentrarsi su ipotetici dissesti economici. Anche in questo caso, però, dalle verifiche non è emersa alcuna difficoltà finanziaria.

L'omicida ricorrerà in Appello

Maja, come già anticipato dal suo avvocato Giulio Colombo, ricorrerà in Appello, «per il mancato riconoscimento della parziale infermità di cui siamo certi», ha detto.

Nelle motivazioni alla sentenza, che saranno depositate entro i prossimi 60 giorni, Colombo afferma di voler capire «le ragioni che hanno portato la Corte ad accogliere le attenuanti generiche», seppure non prevalenti sulle aggravanti, ipotizzando abbia potuto pesare il gesto di Maja di «rinunciare all'eredità e dare il denaro al figlio per le cure».

Una tesi contrastata dall'avvocato di parte civile, Stefano Bettinelli, secondo il quale Maja non ha «mai rinunciato all'eredità di sua iniziativa», ma «solo davanti al giudice tutelare, su mia istanza».

Alla fine di tutto, ciò che manca a Nicolò, è una risposta al «perché» di quella strage. Una domanda che il giovane continuerà a rivolgere al padre, sperando che prima o poi arrivi una risposta.