Digitale & Lifestyle Placentofagia: un trend «innocuo» per il bimbo

CoverMedia

15.5.2018 - 16:10

Source: Covermedia

Le mamme che consumano la propria placenta dopo il parto non causano alcun danno ai loro neonati.

Scegliere di «mangiare» la placenta dopo aver messo al mondo un figlio è una tendenza sempre più popolare in tante parti del mondo, e ora un nuovo, ampio studio ne supporta i benefici.

Anche se i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) hanno recentemente sconsigliato la pratica della placentofagia al fine di evitare infezioni batteriche – un recente caso di Streptococcus agalactiae è avvenuto nell’Oregon – i ricercatori dell’Università del Nevada hanno esplorato l’impatto positivo di questo consumo sul neonato.

«I nostri risultati ci hanno sorpreso, considerate le recenti linee guida emanate contro l’assunzione della placenta, e conoscendo anche i rischi di consumare la carne cruda o poco cotta», ha spiegato il dottor Daniel Benyshek. «Eppure questi nuovi risultati ci danno ragione di credere che la placentofagia umana non è affatto nociva per il bambino».

Nell’esperimento, il team ha preso in considerazione 23.000 nascite, analizzando attentamente i rischi di ricovero, di ospedalizzazione e di morte del neonato entro le prime sei settimane di vita. Il rischio della placentofagia è risultato pari a zero per i piccoli.

Inoltre, le donne che soffrivano di ansia o depressione avevano più probabilità di consumare la loro placenta, mentre la ragione più comune alla base di questo consumo è la prevenzione della depressione post parto.

«Questa ricerca, basata su un largo campione di consumatrici di placenta, ci aiuta a comprendere meglio i motivi delle donne dietro all’assunzione della loro placenta dopo il parto, e gli effetti di essa sui neonati», ha aggiunto la co-autrice dello studio e antropologa Melissa Cheyney. «I risultati ci offrono anche una base dalla quale esplorare l’impatto del consumo della placenta sulle donne che soffrono di disturbi dell’umore a seguito del parto».

La ricerca è stata pubblicata per intero nella rivista scientifica Birth.

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