Era il 4 maggio del 1949 quando la squadra del Torino, Grande Torino, rientrava da una partita di beneficenza giocata in Portogallo. L'aereo si schiantò a pochi chilometri dall'aeroporto del capoluogo piemontese, sulla collina di Superga. Perirono tutti i giocatori della squadra, lo staff, alcuni giornalisti e i piloti. Gli eroi nazionali diventarono così un mito globale.
Tra il 1942-43 e il 1947-48, il Torino vinse 4 scudetti di fila, che senza l’interruzione dovuta alla Seconda Guerra Mondiale sarebbero stati probabilmente 6, magari anche di più.
In porta giocava Bacigalupo, in difesa giganteggiavano Ballarin, Maroso e Rigamonti, il centrocampo era un affare per Grezar, Martelli, Loik e il leggendario capitano Valentino Mazzola. Gabetto, Menti e Ossola fornivano reti e spettacolo.
La squadra fu plasmata dal presidente Novo e dagli allenatori Copernico prima e Erbstein, un inglese. Il teatro in cui si esibiva la squadra del «Grande Torino» era lo Stadio «Filadelfia». La fama che accompagnava Mazzola e compagni fece il giro del mondo, anche senza l'uso di internet e dei social media ai quali siamo oggi abituati. Vennero organizzate tournée in Brasile e in altri Paesi, già votati al calcio.
Proprio il Brasile avrebbe ospitato, nel 1950, il quarto Mondiale, dopo quelli del 1930 e soprattutto quelli del 1934 e 1938 vinti dalla Nazionale italiana. In mezzo c'era stato il conflitto, ostacolo insormontabile anche per il gioco più popolare del pianeta.
La Nazionale italiana, quasi esclusivamente granata
L’11 maggio 1947 l’Italia supera la temibile Ungheria del «galoppante maggiore» Puskas per 3-2 a Torino. Per il popolo di tifosi giunti allo stadio i nomi in campo erano noti: dieci di loro erano giocatori del Torino, solo il portiere proveniva dai cugini juventini, Sentimenti IV. Una formazione, in previsione, favorita per il titolo Mondiale che si sarebbe giocato 3 anni dopo nel grande Paese sudamericano.
In Portogallo per aiutare un collega in difficoltà, gesti di un altro tempo
Osannati e richiesti da mezzo mondo, i granata accettarono la richiesta proveniente dal Portogallo: il 3 maggio il Benfica organizzò un'amichevole per aiutare il capitano della squadra lusitana Francisco Ferreira, che gettava in grosse difficoltà economiche. Altri tempi. Un gesto davvero notevole, umano.
Di fronte a 40 mila spettatori finì 4-3 per i padroni di casa. Il giorno dopo, la squadra del Torino, con tutto il suo staff e alcuni giornalisti italiani appresso, salì sul trimotore FIAT G.212 delle Avio Linee Italiane.
Il viaggio di ritorno da Lisbona, l'ultimo del 'Grande Toro'
Alle 14:50 di mercoledì 4 maggio 1949, il velivolo lasciò l'aeroporto internazionale di Lisbona per riportare tutti a casa dalle loro famiglie.
Nel frattempo le condizioni metereologiche su Torino erano peggiorate: le nubi sposavano il suolo, la pioggia batteva senza sosta, il vento rendeva dantesca l'atmosfera sopra il capoluogo piemontese. Il peggio doveva ancora arrivare.
Il trimotore non disponeva di un sistema radar a bordo, la navigazione era lasciata all'esperienza, alla bravura e alla fortuna dei piloti.
Fortuna che quel giorno decise di non mostrarsi.
Alle 17:03 si udì un boato e i figli dei campioni diventarono orfani
Alle 17:03 il velivolo si schiantò contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, che sovrasta la città.
Delle 31 persone a bordo nessuno sopravvisse. La pioggia si mischiò al pianto, i singhiozzi e le grida ai tuoni, i calciatori diventarono leggende, le madri persero i loro figli, le moglie i mariti e tanti bambini diventarono orfani.
Il filmato che in diretta nazionale raccontò la tragedia è un documento di potente intensità, la voce narrante avvolge le scene con cura e ricercata eloquenza: «Un crepuscolo durato tutto il giorno, una malinconia da morire, il cielo si sfaldava in nebbia e la nebbia cancellava Superga».
La telecamera riprende i resti, il commentatore con voce mesta dice: «E ancora scarpe, quanti gol avranno segnato».
E ancora, con quella voce greve, quasi rotta dall'emozione, il commentatore racconta la fine di un'epoca e il dramma di tante famiglie: «La moglie di Gabetto aveva telefonato all'aeroporto: "Sono morti tutti" le avevano detto, ed era stata lei la prima a piangere».
Dopo le immagini del funerale, le immagini tornano al calcio, mostrano i campi della Serie A, la domenica successiva. La voce è sempre mesta, il filmato in bianco e nero: «Sui campi di tutta Italia c'è stato un minuto di silenzio, ma sul loro campo non si è giocato».
La vita, il calcio continua
Mancavano poche giornate al termine del campionato di Serie A, il Torino le giocò con la sua squadra primavera. Il club granata fu proclamato campione d'Italia con delibera federale.
Dopo la tragedia di Superga il presidente del Torino, Ferruccio Novo - che non aveva seguito al squadra nell'ultima trasferta -, tentò di ricostruire la formazione dal nulla: in parte ci riuscì, ottenendo un onorevole sesto posto nella stagione 1949-1950.
Ai Mondiali del 1950 l'Italia ci andò orfana di 10 campioni
La Nazionale italiana, invece, impegnata ai Mondiali che si tennero in Brasile, dovette mettere in campo le riserve. Dopo aver perso la prima partita contro la Svezia e aver vinto conto il Paraguay, gli azzurri non riuscirono a qualificarsi.
Il Mondiale fu vinto dall'Uruguay, nell'epica finale giocata al Maracana di Rio davanti a più di 170mila spettatori, che gettò la popolazione brasiliana nella più sconvolgente desolazione.
Il figlio di Valentino Mazzola
Sandro Mazzola, figlio di Valentino, il capitano del Grande Torino, ha intrapreso la stessa carriera del padre, con egual successo: è diventato un giocatore simbolo dell'Inter e della Nazionale italiana a cavallo degli anni Sessanta e Settanta.
Intervistato alcuni anni fa in occasione dell'anniversario della tragedia di Superga, l'oggi 81enne si è fermato un istante perché sopraffatto dall'emozione.
«Mentre Lei mi parla io sono seduto e sto osservando una fotografia che è proprio di fronte a me. Raffigura il mio papà vestito da Toro, inginocchiato, che mi allaccia le scarpe da calcio».
Poi, i ricordi del signor Mazzola ritornano al 4 maggio del 1949.
«Io ricordo che quel giorno ero andato all’aeroporto per ricevere mio papà. Avevo circa 7 anni ed ero rimasto lì ad aspettarlo». Ma il suo papà non arrivò, non arrivò nessuno. «Allora tornai a casa e lì trovai quello che c’era da dirmi».
Sandro Mazzola diventò una bandiera, il capitano e un leggenda dell'Inter, dopo aver mosso i primi passi con la maglia del Torino.
Un ultimo ricordo, racchiuso nelle parole ancora un poco strozzate, riguarda la sua prima sfida giocata a Torino, contro il Toro. Dal campo, si vedeva Superga.
«A fine partita ricordo che avevo la testa bassa. L’allenatore e i miei compagni venero in mezzo al campo e mi misero una mano sulla spalla perchè capirono. Che momento…».
Il mito del Grande Torino è sempre ancora vivo in Piemonte
Questo è il ricordo di Renato Zaccarelli, giocatore del Torino nella stagione 1975-76, quella dell'ultimo scudetto alla storia granata.
«Mi torna in mente l’allenatore che diceva: "Ragazzi, non dimenticate che quando passate lì sotto, quelli da lassù vi stanno a guardare!". Piccole cose che ti facevano sentire importante, lo dico con orgoglio».
Nelle parole della scrittrice Elena D'Ambrogio Navone, tutto il peso della storia, il fenomeno del mito, l'orgoglio di un popolo.
«Il Grande Torino è il battito dell’eternità. Un’emozione che lega storia, presente e futuro; non solo la squadra che ha fatto sognare, quella dell’incredulità nella tragedia e del lutto cittadino e nazionale... Il grande Capitano, Valentino Mazzola, sapeva contagiare per trasformare ogni partita in un capolavoro. Valentino era una perla rara, nato per dimostrare che i sogni si realizzano; quell’uomo con le braghette era un tutt’uno con il pallone, che i suoi piedi guidavano al ritmo del mitico ‹quarto d’ora granata›. E quando Mazzola si tirava su le maniche, e con lui tutti i colleghi, i dirigenti, gli spalti, era la determinazione che entrava in campo, forte e indomita. Quella dei valori, del sacrificio e della volontà, che resteranno vincenti e senza tempo».
Infine il racconto di un tifoso ordinario, che ricorda le parole raccontategli dalla nonna quando era piccolo.
«Caro Marcolino, devi sapere che il Torino era fortissimo, la squadra più forte che c’era al mondo. Ma non era come oggi. I giocatori erano poveri e la maggior parte arrivava allo Stadio Filadelfia in bicicletta e alcuni dovevano attraversare la città. Bene, iniziavano la partita ed erano così forti, ma così forti, ed erano così tanto in vantaggio, che anche se mancava un bel po’ di tempo alla fine, quelli che abitavano più lontano prendevano la bicicletta e lasciavano la partita. E questo perché, tanto, erano irraggiungibili».
Serie A, campionato 1947-48
- Il Torino vince con 16 punti di vantaggio sul Milan, secondo. Allora si conteggiavano ancora 2 punti per una vittoria.
- In 40 partite giocate il 'Grande Torino' segnò 125 reti. Il Milan, seconda forza del campionato, mise a segno 76 gol.
- Il capitano Valentino Mazzola segnò 25 reti, Gabbetto 23, Loik e Menti 16 a testa.