Arsene Wenger, dopo 22 anni di servizio sulla panchina dei Gunners, si è preso un momento di riposo. In una lunga intervista il francese parla della sua vita nel mondo del calcio, di come esso è cambiato e di cosa farà in futuro.
Trovarsi d'un tratto senza lavoro
«Ero un po’ perso. Ero abituato ad avere sempre qualcosa da fare. C’era sempre un problema da risolvere, una volta risolto ce n’era un altro e così via… Improvvisamente tutto è cambiato e mi sono ritrovato con molto tempo a disposizione. Per fortuna posso dire di avere una caratteristica, una qualità, che mi ha aiutato. A me non piace guardare indietro, e ho cercato di pormi le domande giuste, capire dove sia il mio posto in futuro».
«All’inizio mi sono reso conto di dover fare un pausa, sia a livello mentale che fisico. Dopodiché sono andato ai Mondiali e ho vissuto un momento piuttosto intenso viaggiando in diverse città. Alla fine della competizione però, quando di solito riprendevo gli allenamenti con la squadra, ho avuto un senso di smarrimento».
Filosofia 'Wengeriana'
«Dopo 34 anni di lavoro come allenatore, senza fermarmi mai, sento di dover condividere le mie conoscenze con altre persone. Se tenessi tutto per me, la vita sarebbe quasi inutile. In generale con tutto ciò che si è vissuto bisognerebbe almeno provare a dare qualcosa anche agli altri. Secondo me non bisognerebbe lasciare questo mondo senza almeno aver cercato di dare qualcosa al prossimo».
Tornare sui campi da calcio?
«Non lo so ancora. Potrei tornare direttamente sul campo come allenatore, come dirigente rimanendo un po’ dietro le quinte oppure anche come direttore sportivo. Ma credo che avendo speso la mia vita, giorno e notte, cercando di sviluppare un concetto su ciò che è il calcio, adesso non ho intenzione di tenere tutto per me e rifletterci da solo».
Quanto potere anche le grandi star del pallone?
«Non so quanto ne hanno, o se è troppo, ma ne hanno decisamente molto di più rispetto al passato. Basti pensare che ora come ora le grandi super star sono praticamente un club all’interno del club. Hanno un responsabile per curare la loro immagine, i loro account di Social Media, a volte hanno il loro preparatore atletico personale, il loro fisioterapista ecc.».
Come è cambiato il tifoso in questi ultimi 34 anni?
«Secondo me il tifoso si è sviluppato su due piani differenti. Da una parte c’è il tifoso locale, il quale in generale è quello leale e che supporta la squadra, mentre dall’altra c’è il tifoso lontano, spesso dall’altra parte del mondo, che è più concentrato sulle individualità. Prendiamo per esempio il recente caso di Cristiano Ronaldo. Il suo passaggio alla Juventus ha portato milioni di tifosi a scordarsi del Real Madrid per abbracciare la nuova squadra del giocatore portoghese».
Cosa è cambiato nel lavoro dell'allenatore?
«Si deve essere molto più convincenti. Le cose sono cambiate molto, e i giocatori devono essere trattati come milionari quali sono. Sono più informati rispetto al passato e spesso si circondano di consiglieri. La società è cambiata, i giocatori sono diventati più professionisti, il calcio è migliorato, ma il contesto psicologico è diventato più complicato. Anche “l’ecosistema” in seno ad un club è diventato molto più complicato, perché tutti hanno un’opinione e quest’ultima può essere inviata da ogni parte del mondo. Alla fine vieni perennemente giudicato: prima della partita, durante e dopo».
Infine la lunga intervista è terminata con una domanda molto particolare. «Cosa farà Arsène Wenger una volta che arriverà in paradiso?».
«Per prima cosa chiederò a Dio: 'Dove sono gli arbitri?'», ha risposto ridendo il tecnico alsaziano.