Il Sudafrica ha vinto sabato la Coppa del Mondo di rugby per la terza volta. Gli eroi della finale di Tokyo stanno rientrando in patria. La storia del capitano degli Springboks sembra uscita da un libro di Mark Twain.
Sono tre, quante ne hanno vinte gli All Blacks. Basterebbe di per sé questo numero per descrivere la vastità dell'impresa della nazionale di rugby sudafricana.
Ma gli Springboks sono molto di più.
La tradizione bianca
Gli Springboks avevano sempre rappresentato il meglio della supremazia bianca nel Paese africano. Usare questo simbolo di forza e eccellenza a scopo sociale fu un'intuizione che Mandela curò di persona, sfruttando tutta la sua statura, sperando che il popolo potesse capire. Madiba - come era conosciuto Nelson Mandela - voleva che il rugby diventasse motivo di orgoglio nazionale e unione tra neri, bianchi, coloured e indiani.
Non andò proprio come Mandela aveva sperato, ma perlomeno furono gettate le basi di qualcosa di straordinario. Un lungo cammino verso la fratellanza.
Quando nel 1995 l'allora primo presidente nero sudafricano Nelson Mandela celebrò con il capitano Francois Pienaar la vittoria della prima Coppa del Mondo conquistata a Johanessburg, nella formazione degli Springboks figurava un solo giocatore di colore.
Nel 2007, a Parigi, l'allora presidente sudafricano Thabo Mbeki festeggiò la vittoria della conquista della seconda Coppa del Mondo con il capitano John Smit: negli Springboks figuravano due giocatori neri.
Sabato, a Tokyo, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha alzato al cielo la Coppa del Mondo con il capitano Syia Kolisi. Oltre al capitano, nero, la formazione degli Springboks presenta altri 6 giocatori di colore.
Il ritorno trionfale degli Springboks
I giocatori della nazionale sudafricana di rugby hanno deciso di tornare a casa a scaglioni, così da permette a più persone di poterli accogliere, di festeggiare la vittoria di una squadra e di tutto un Paese che tanto ha bisogno di positività.
Dopo li scandali della politica, le frodi dell'ex presidente, l'economia che non riesce a decollare, le violenze sulle donne, le tensioni all'interno delle università e le divisioni sociali che diventano sempre più marcate, gli Springboks hanno portato una ventata di allegria, di spensieratezza. All'aeroporto Thambo di Johannesburg bianchi e neri festeggiano insieme, cantano insieme l'inno sudafricano, sono fieri degli stessi eroi.
Syia Koisi: dalla township al tetto del mondo
Syia Koisi, 28 anni, nato dei pressi di Port Elizabeth, è nato in una delle tante township sudafricane, con poco o nulla. I genitori, troppo giovani e troppo poveri per poterlo crescere decisero di mandarlo dalla nonna - una pratica non inusuale in Sudafrica - per farlo crescere. A scuola il piccolo Syia iniziò a giocare a rugby e se ne innamorò. A 15 anni perse la madre e pochi mesi dopo, tra le sue braccia, morì anche la nonna che lo aveva cresciuto con rigore e amore.
Poi arrivò una borsa di studio per una high school vinta grazie al rugby e da lì una strada ancora tutta in salita, fino a diventare il primo capitano nero degli Springboks, il primo ad alzare al cielo la Coppa del Mondo.
Kolisi non ha mai dimenticato da dove è arrivato. Regolarmente, passa dalla sua vecchia scuola elementare per portare scarpe, computer e soprattutto sogni.
Il suo è diventato realtà. Ha lasciato alle spalle la povertà e la miseria grazie alla sua tenacia e alla sua disciplina.
Una Coppa del Mondo dalle molte facce, tra le quali quella di Kolisi, l'eroe di due o tre mondi, che oggi possono gioire insieme.