Quando il re si racconta "Senza il sostegno di Mirka tutto questo non sarebbe possibile"

bfi

29.1.2018

Roger Federer, ancor più grande di sè stesso
Roger Federer, ancor più grande di sè stesso
Keystone

Roger Federer racconta della sua nuova impresa, delle sue emozioni e del decisivo sostegno della sua famiglia.

Il numero 20 è qualcosa di importante per te?
No, il numero, di per sé, no. Non ho un ricordo speciale legato al numero 20. Ora però ho tempo per pensarci, perché finora non potevo, visto che è esattamente così che le cose vanno male poi, quando pensi troppo avanti. 
Tutto il giorno ho pensato, “come mi sentirei se vincessi?”, “come mi sentirei se perdessi? Sono così vicino, eppure così lontano. Ho passato l’intero match in questo modo. Arrivare a venti è ovviamente molto, molto speciale.

Quali sono stati i tuoi pensieri sulla decisione di giocare questa finale a tetto chiuso?
Non ero sicuro se fosse una cosa buona per me o no. giocare sotto il tetto o no. Mi viene da pensare che quando gioco indoor succedono cose buone per me.
Ad essere sincero il caldo non mi dispiaceva. Un ragazzo grande e grosso come Marin forse il caldo lo avrebbe stancato più velocemente durante l’incontro. Ma non è stata una mia decisione. Quando sono arrivato in campo, ero totalmente pronto per giocare all’aperto. Gli organizzatori mi hanno detto che ci stavano pensando, poi, mezz'ora prima dell'inizio, mi hanno riferito che avremmo giocato indoor. Per me non cambia nulla, ad essere onesti. Ero pronto per entrambe le situazioni. 

Sei titoli conquistati all'Australian Open; come ci si sente ad eguagliare Emerson e Djokovic?
È stata una partita dura, giocata in 5 set, contro un grande giocatore. L'aver vinto questa contesa, questo titolo, è qualcosa di molto speciale. 
Difendere il mio titolo dall’anno scorso è una sorta di fiaba che continua. Questo aspetto, è forse più marcato per me. Emerson o Novak hanno avuto le loro incredibili carriere. Ammiro quello Novak sta facendo e ciò che Emerson ha fatto. 

Come riesci ad avere ancora fame di Grand Slam? Hai 36 anni, hai vinto 20 titoli. Sei già una leggenda. 
Penso che il segreto stia nel non esagerare, nel non giocare tutti i tornei che giocavo anni fa. Mi piace allenarmi. Non mi pesa viaggiare.  I miei genitori sono ancora incredibilmente orgogliosi e felici di vedermi giocare. A loro non pesa venire ai tornei. Questo aspetto mi rende felice e mi fa giocare meglio.
Poi, ovviamente, c'è mia moglie: è lei che rende tutto possibile. Senza il suo sostegno avrei smesso di giocare da molti anni. Già anni fa abbiamo avuto una conversazione molto aperta, quando io le ho chiesto se sarebbe stata felice di vedermi continuare. Lei è disposta di prendersi a carico l'impegno enorme con i bambini e inoltre, lei è una mia super-tifosa. Non vorrei stare lontano dai miei figli per più di due settimane, dunque questo tipo di vita  non funzionerebbe se lei non avesse detto di sì.
Sono molti i pezzi del puzzle che hanno bisogno di combaciare per permettermi di essere qui a parlare con voi stasera.

Perché sei stato così emotivo dopo la partita? Puoi descrivere il momento in cui hai avuto quell’incredibile reazione della folla?
Non ho visto cosa stava succedendo attorno a me a causa delle mie grosse lacrime. Non so cosa dirti. Penso che quello che è successo è che quest'anno sono arrivato in finale molto rapidamente. Avevo dentro un sacco di emozioni perché non ho avuto bisogno di andare al limite come l’anno scorso contro Nishikori, Stan e poi Rafa.
La finale di quest'anno mi ha ricordato molto quella del 2006 contro Baghdatis: fu molto dura. Ero il favorito e arrivai alla finale in un modo eccellente. Poi alla fine Rocket mi diede il trofeo, è le emozioni mi travolsero. Dopo i ringraziamenti speravo che avrei iniziato a rilassarmi un po’ durante il discorso, ma non ci sono riuscito. Vorrei che non fosse così a volte, ma condividere questi miei stati d'animo con molte persone è magnifico. C'era lo stadio pieno; se non ci fosse stato nessuno non mi sarei emozionato così. Questo è anche per tutti i miei tifosi, per chi era qui oggi, davvero.

Cosa hai pensato dell’ultimo challenge richiesto da Cilic? Eri seccato?
Il fatto è che per me la sfida era già finita. Quindi non so cosa sia successo. La gente ha poi iniziato ad applaudire e ho pensato: “ho sbagliato a pensare che la partita fosse finita? Ho festeggiato troppo presto?” Ho quasi dovuto controllare il punteggio. Non so cosa sia successo dopo. Lui deve chiedere il challenge, immagina di perdere una partita perché sei troppo educato per chiedere il challenge alla fine. Ma avevo buone sensazioni, eravamo 5-1, 40-0, quindi ero rilassato. È stato come festeggiare due volte. Le emozioni sono  arrivate in due ondate. Io non me la prendo per queste cose, so che lui doveva chiamare il challenge, lo avrei fatto pure io. 

Poi arriva la domanda che tutti si aspettano, la solita che si rincorre da anni ...

Hai 36 anni, stai giocando contro ragazzi che sono più grandi, più forti, più giovani. Quanto pensi di poter ancora continuare a questo livello?
Onestamente, non lo so. Ho vinto tre Slam in 12 mesi. Non ci posso credere nemmeno io. Devo solo mantenere un buon programma, restare affamato, allora forse possono ancora accadere buone cose. Quindi, non penso che l’età sia un problema, di per sé, è solo un numero.
Certo, devo fare molta attenzione nella mia pianificazione, decidere quali sono le mie priorità. Penso che sia questo, infortuni a parte, che determinerà quanto potrò ancora rimanere competitivo. Ora vedo davanti a me ancora altri momenti emozionanti. 

Il re, non ha dunque ancora deciso di abdicare, e come potrebbe vista la ridda di emozioni e soddisfazioni che ancora sa generare per sè e per gli altri: lunga vita al re!

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