L'Italia non è la Spagna Capello: «Dobbiamo copiare il calcio tedesco, non siamo giocolieri»

bfi

5.4.2022

La Nazionale italiana.
La Nazionale italiana.
Keystone

Fabio Capello e altri esperti di calcio hanno analizzato la caduta mondiale degli Azzurri e la discesa del calcio italiano.

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Umanesimo, Risorgimento, Riforma, Rivoluzione, i termini si sprecano per tentare di coniare un nuovo periodo storico-calcistico che dovrebbe rilanciare il calcio italico nell'Olimpo del calcio mondiale. 

Già, perché nonostante la vittoria di martedì contro la Turchia -ininfluente - l'Italia del calcio ha delle ferite molto profonde da lenire, e solo leccarsele non sarà sufficiente. Mancini ha deciso di continuare dimostrando coraggio, atteggiamento che molti credono debba essere adottato da molti allenatori italiani.

Le critiche e i processi si sprecano all'indirizzo della nazionale italiana caduta malamente a Palermo, che per la seconda edizione consecutiva, non parteciperà alla fase finale dei campionati del Mondo - e non era mai successo prima.

Agli elogi a Mancini dopo la vittoria europea della scorsa estate, che hanno spesso paragonato la sua Italia alla Spagna degli ultimi 15 anni, sono arrivati anche quelli meno tattici ma più sociali, per come il Mancio e il suo staff hanno saputo lavorare sull’aspetto mentale, caratteriale e cameratesco del gruppo.  squadra.

Ora, le parole degli inquisitori si sprecano.

Abbiamo scelto di dar voce, qui, alle opinioni di Fabio Capello, uno che di calcio se ne intende. 

Adepti del calcio di Guardiola

A Sky Sport, l'ex ct di Milan, Juventus, Real Madrid, Russia e Inghilterra, ha ripreso l'idea che l'Italia di Mancini - quella della striscia record di 37 partite senza sconfitta - fosse simile per filosofia tattica al calcio di Guardiola di 15 anni fa, che poi è diventato il calcio della nazionale spagnola campione europea e mondiale. 

«Io da molto tempo continuo a dire che stiamo copiando il calcio di Guardiola di 15 anni fa. Facciamo un calcio che usa passaggini laterali, ad ogni contrasto ci si butta a terra, e anche una squadra mediocre come la Macedonia a livello fisico ci è stata superiore come dinamismo, forza e determinazione ».

 Lionel Messi (centro ), Xavi Hernandez (destra) e Andres Iniesta nel 2012, con la maglia del Barcelona diretto da Pep Guardiola  
 Lionel Messi (centro ), Xavi Hernandez (destra) e Andres Iniesta nel 2012, con la maglia del Barcelona diretto da Pep Guardiola  
KEYSTONE

Il futuro è il modello tedesco 

Il 75enne oggi ex allenatore è convinto che la filosofia del calcio 'tiki-taka' del Barcellona di Guardiola e della Spagna di Del Bosque non fa per l'Italia - il tiki-taka era messo in scena da attori come Messi, Iniesta, Xhavi, Fabregas,...

«Fino a quando non avremo capito che il modello da copiare è quello tedesco non andremo avanti, perché se vogliamo fare come gli spagnoli, che hanno una tecnica superiore, non riusciremo mai a fare quel tipo di calcio, lo facciamo sempre al 50%. Dobbiamo copiare il modello tedesco come determinazione, gioco in verticale e in profondità».

L'assenza di campioni

Mario Sconcerti invece, il giorno prima di Italia-Macedonia, così si era espresso ai microfoni di Teleradiostereo:

«Non siamo più in grado di costruire un campione, di pensare un campione, ormai da vent’anni. E non sappiamo perché. È successo qualcosa di incredibile, di veramente apocalittico, che ha interrotto la produzione di calciatori. La scelta di continuare a utilizzare calciatori anziani come Chiellini ad esempio è drammatica e patetica, soprattutto se pensiamo a quanto i difensori fossero un tempo il nostro pane quotidiano. Sento veramente un cambio di epoca».

L'egocentrismo degli allenatori italiani

Il direttore del Corriere dello Sport, Ivan Zazzaroni, si è invece appoggiato alle impressioni di un anonimo operatore di mercato, suo amico:

«Gli allenatori del settore giovanile non lavorano più con il fine di creare i nuovi Pirlo, ma con il solo obiettivo di divenire loro i nuovi Ancelotti o Guardiola».

«Polli  d'allevamento»

In Italia, ma anche fuori dai suoi confini nazionali, c'è una visione generalizzata che molto si avvicina al pensiero esposto sopra: i giocatori che hanno vestito la maglia azzurra dopo il 2006 - anno in cui l'Italia vinse l'ultima Coppa del Mondo - sono lontani dai campionissimi che allora Lippi aveva a disposizione: i vari Cannavaro, Del Piero, Totti, Pirlo sono stati via via sostituiti da quelli che Massimiliano Allegri ha definito «polli d’allevamento».

Calciatori fisicamente prestanti, funzionali ad uno schema tattico, ma forse incapaci - e non per demerito proprio - di inventare, di prendere decisioni fuori dagli schemi. 

Crescere un altro Roberto Baggio non è un compito per allenatori, ma le immagini delle sue giocate dovrebbero forse essere passate di tanto in tanto tra una sessione di allenamento in palestra e le ripetizioni ossessive di uscite di zona.