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Zero rifiuti Esperimento: è possibile non produrre rifiuti per un mese?
Hannah Stettler, blog sostenibilità
9.5.2018
Se gli oceani sono pieni di plastica dipende anche dalle nostre personali modalità di consumo che alla lunga generano rifiuti spesso evitabili. La nostra autrice ha condotto per un mese un esperimento «Zero Waste», zero rifiuti, ed è giunta ad una conclusione discordante.
Immaginatevi se tutti noi non producessimo più rifiuti. Niente più montagne di spazzatura negli impianti di incenerimento e – ancora meglio – niente rifiuti ai bordi delle strade o negli oceani. Da molto tempo ormai non esistono più i prodotti che durano un’eternità, soppiantati da oggetti destinati prima o poi alla discarica.
702 chili– questa la quantità di rifiuti domestici e imballaggi prodotti ogni anno da un cittadino svizzero medio; solo i consumatori statunitensi e danesi producono una quantità simile di rifiuti pro capite.
Ma qualcuno si preoccupa di quanti rifiuti produce? Non appena finiti nel cestino ce ne siamo già dimenticati. Tuttavia sempre più spesso scopriamo storie di persone che affermano di non produrre praticamente più rifiuti: una dimensione che mi ha sempre interessato, nonostante io non creda sia veramente possibile. In ogni caso – o forse proprio per confermare questa possibilità – ho deciso di condurre un esperimento per un mese.
Ampia scelta, ma...
Per fortuna attualmente i negozi che vendono merce sfusa stanno nascendo come funghi. Qui i consumatori più attenti, armati di tupperware, vasetti di vetro vuoti, borse di tessuto o sacchetti di carta e cartoni delle uova, possono acquistare alimentari e molti altri prodotti. La scelta non è così ampia come nella grande distribuzione, ma devo ammettere di essere rimasta positivamente sorpresa.
Il mio esperimento Zero Waste sarà facilissimo, ho pensato con leggerezza. Ma ben presto ho dovuto constatare che molti alimentari non sono disponibili sfusi, ad esempio yogurt, burro e lievito, per non parlare dei prodotti semilavorati o pronti per l’uso. Inoltre i rifiuti vengono prodotti anche in altri ambiti della nostra vita quotidiana, non solo nel campo alimentare.
Il mio mese a zero rifiuti è iniziato con una spazzola per capelli rotta e una spugnetta per lavare i piatti assolutamente da sostituire. Cominciamo bene, ho pensato. Ma non mi sono scoraggiata, anzi ho rimboccato le maniche e ho iniziato a ridurre i miei rifiuti. Durante questo mese a rifiuti zero ho imparato molte cose – ecco le mie sei principali scoperte:
1. Senza imballaggi serve più tempo
Tra un salto allo stand di verdure bio e al negozio per acquistare le carote, ben diverse da quelle perfettamente dritte del supermercato, e un porro gigante, la giornata era quasi finita. E mi mancavano ancora il latte del contadino e un giro al negozio di articoli sfusi «Palette» per comperare la pasta. Impossibile fare tutto questo regolarmente dopo il lavoro e gli altri impegni.
Inoltre gli acquisti devono essere adeguatamente pianificati. Più di una volta mi è capitato di arrivare al negozio e accorgermi di aver lasciato a casa le buste di plastica e i vasetti di vetro. La mia soluzione: lavorare meno e acquistare più merce non confezionata. Purtroppo si tratta di una soluzione difficilmente attuabile nella realtà.
2. Rifiuti zero: un continuo soppesare e valutare
Durante il mio esperimento Zero Waste ero continuamente dibattuta: compro l’insalata sfusa non biologica oppure quella bio ma confezionata e con lo sconto del 50% in quanto vicina alla scadenza? È più importante evitare l’acquisto di una confezione o lo spreco di cibo?
E quanti chilometri in bicicletta aggiuntivi sono giustificati perché il latte non sia quello nella bottiglia di plastica riciclabile della Migros, bensì quello nella bottiglia di vetro riutilizzabile del contadino?
Inoltre, considerando l’intera catena di produzione si producono più rifiuti acquistando un pane non confezionato dal fornaio o facendolo a casa e gettando poi la bustina di carta del lievito?
E se vengo invitata a pranzo i rifiuti prodotti sono da considerare miei?
3. Meno rifiuti, più riutilizzo
Durante questo esperimento la quantità dei miei rifiuti è fortemente diminuita anche perché ho riciclato tutto quello che potevo riciclare. La spazzola per capelli rotta è l’esempio lampante di quanti rifiuti in meno si possano produrre se si è disposti a investire un po’ del proprio tempo.
Durante questo mese il tetrapak è stato categoricamente escluso dalla mia lista della spesa, poiché non è possibile smaltirlo in modo specifico o restituirlo. In compenso sono aumentate le bottiglie di vetro e plastica (quelle bianche del latte), la carta straccia (con le etichette dello yogurt) e i barattoli (del latte di cocco). Certamente è tutto riutilizzabile, ma a voler essere precisi si tratta di imballaggi e quindi alla fine di rifiuti.
4. Lista dei peccati
Ci sono poi delle cose a cui semplicemente non ho voluto rinunciare. La lista è capeggiata da vari articoli per l’igiene, dalla carta igienica ai dischetti leva trucco fino alle lamette del rasoio, e termina con le spugnette da cucina.
Sono rimasta sorpresa di quanto abbia potuto accumulare in un mese tra:
- scontrini della spesa e del caffè -colla stick e penne (adoro incollare le foto negli album)
- carta forno -spugnette da cucina e numerosi fazzoletti di carta
- imballaggi di un acquisto online
- sacco di plastica in cui resisteva ancora un residuo di terriccio per fiori
- bustine del tè
- camera d’aria della bicicletta
5. Gli alimentari sono solo l’inizio
Se si considera solo un mese, indubbiamente le confezioni degli alimentari sono la principale causa dei rifiuti. Ma analizzando invece un anno o una vita intera, ci sono tantissimi altri ambiti in cui vengono prodotti rifiuti, in parte molto più difficili da controllare.
Nel caso di elettrodomestici, abiti, mobili, per non citarne che alcuni, oltre all’aspetto dell’imballaggio va detto che la loro durata di vita può essere notevolmente allungata attraverso riparazioni o utilizzo di seconda mano. Tuttavia anche in questo caso ai fini del quantitativo di rifiuti finale è determinante un’adeguata separazione dei materiali e infine il corretto smaltimento.
6. Zero Waste è divertente!
Mi sono divertita molto a correre per la città e ad ogni acquisto cercare di migliorarmi nella riduzione delle confezioni. Un altro bel momento per me era quando a casa scoprivo di non riuscire a riempire il bidone dell’immondizia. In ogni caso mi ha sbalordito la quantità di plastica prodotta in questo mese, nonostante tutti i miei grandi sforzi.
Il mese termina come è iniziato: con una mia idea che non corrisponde totalmente alla realtà. Diversamente da quanto pensavo, dove vivo, a Berna, non è possibile conferire la plastica per il riciclaggio specifico: la minuziosa separazione della plastica non ha quindi alcun senso. E allora avanti con le montagne di plastica nei sacchi dell’immondizia tassati, peccato.
La mia conclusione: un approccio più consapevole ai rifiuti
Non sono certo una fautrice della nostra società «usa e getta», ma nemmeno una convinta sostenitrice del Zero Waste, come forse avrete già capito. Diciamo che mi piacerebbe se alcune persone fossero un po’ meno pigre.
Sarebbe bello se tutti noi diventassimo più consapevoli di quanta spazzatura totalmente inutile produciamo. Esistono tanti trucchi semplici per contribuire alla causa dei rifiuti zero, ad esempio in mensa basterebbe utilizzare le stoviglie normali anziché quelle usa e getta.
Da questo esperimento Zero Waste eredito una maggiore consapevolezza verso gli imballaggi e i rifiuti in generale e la motivazione a continuare a ridurre i miei rifiuti. Diciamo che passare da un sacco della spazzatura da 35 litri in un mese a quasi la metà nel mese dell’esperimento è stato un buon inizio. Tuttavia ho ancora un notevole margine di miglioramento.
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